La principale attività del cervello è quella di rimodellare continuamente se stesso (M.Minsky,1986).
L’aumento della popolazione ultrasettantenne, dovuto sia al calo della natalità sia all’aumento della vita media, propone la nuova condizione di senescenza come una delle sfide evolutive più impellenti indirizzando sinergicamente la ricerca biologica, genetica, psicologica e sociologica verso lo studio dell’invecchiamento come processo multifattoriale complesso non più inteso semplicemente come fase del ciclo di vita caratterizzata da declini e perdite fisiologiche (memoria, attenzione, pianificazione, capacità motorie), ma anche e soprattutto come “riserva” e potenziamento delle capacità residue.
La plasticità cerebrale è senza dubbio una delle scoperte più straordinarie del Novecento: prima di allora infatti, la visione neurologica dominante era quella del “localizzazionismo” la quale presupponeva che la struttura cerebrale fosse fissa e immutabile, e vedeva il cervello come una macchina molto complessa nella quale ogni componente svolgeva un preciso compito ed aveva una sua localizzazione geneticamente predeterminata o “cablata”. Le cellule nervose dunque, sono perenni, nascono e muoiono con l’individuo a cui appartengono. Tale nichilismo neurologico portò come conseguenza, ad un atteggiamento rinunciatario di fronte all’ipotesi di possibili interventi terapeutici: dal momento che il cervello non può cambiare, ogni tentativo di migliorarlo o mantenerlo in buona salute veniva considerato una perdita di tempo!
Oggi la quantità ingente di studi nell’ambito delle neuroscienze, della psicologia sperimentale, della sociologia e di tanti altri settori multidisciplinari (geriatria, gerontologia) ricalcano l’imperativo Use It Or Lose It! – usalo o lo perderai. Il nostro cervello è in continua evoluzione e perfino in età avanzata è possibile migliorare le prestazioni cognitive stimolando e coinvolgendo nuovamente i sistemi neuro modulatori che ne controllano l’apprendimento, colmando altresì le lacune mnestiche che si accompagnano ai normali processi di invecchiamento fisiologico.
Da questo punto di vista, la vecchiaia non è più necessariamente considerata sinonimo di decadimento e staticità. Così come siamo in grado di rafforzare i nostri muscoli attraverso l’allenamento, allo stesso modo possiamo favorire la “crescita” del cervello mantenendo l’impegno in diverse attività: l’esercizio fisico per esempio, facilita l’aumento del numero di cellule nervose nei centri cognitivi superiori deputati al pensiero, al calcolo e alla memoria. Questo risultato si basa su un aumento delle sostanze che promuovono la crescita neuronale (BDNF, fattore neurotrofico di crescita cerebrale); il cervello ha bisogno d’ossigeno: camminare, andare in bicicletta o svolgere esercizi cardiovascolari, sono attività che non richiedono un grosso sforzo e contribuiscono a rinforzare il cuore e i vasi sanguigni che raggiungono il cervello.
In particolare il ballo, sia in coppia che in gruppo, oltre ad allenare con dolcezza il sistema cardiovascolare, migliora il tono muscolare e la densità ossea contrastando l’insorgenza dell’osteoporosi ed attivando inoltre, il sistema limbico coinvolto nelle emozioni e nella memoria. Unitamente all’esercizio fisico, una sana e corretta alimentazione ricca di frutta e verdura e povera di grassi, combatte l’insorgenza dei radicali liberi.
Oggi assumono grande importanza le tecniche di stimolazione delle abilità cognitive, basate sul concetto di “riserva naturale” secondo cui nei normali processi d’invecchiamento, le cellule che muoiono possono essere rimpiazzate da altre attraverso la “ginnastica” cognitiva, così da preservare più a lungo la funzione da esse espletata.
Bach-y-Rita, scienziato e fisioterapista, è un forte sostenitore della plasticità cerebrale, asserisce che il cervello è costituito da innumerevoli percorsi neurali e che se alcuni di questi si interrompono, esso può utilizzarne degli altri più vecchi per aggirare tali blocchi. Propone un’esplicazione molto semplice: <se guidiamo, e il ponte verso cui ci dirigiamo è chiuso, inizialmente siamo spiazzati, poi decidiamo di prendere delle vie secondarie e man mano che ripetiamo questi percorsi secondari giorno dopo giorno acquisiamo non solo familiarità ma anche velocità>. Nel cervello avviene una cosa simile, i percorsi neurali secondari possono cioè essere smascherati e potenziati (N. Doidge, 2007).
Micheal Merzenich, pioniere degli studi sulla plasticità, ha fondato la Posit Science, proponendosi di aiutare le persone a conservare la plasticità del cervello durante l’invecchiamento e di allungare la vita media della mente attraverso una serie di esercizi mentali riguardanti la memoria, il ragionamento e la velocità d’elaborazione. Dai suoi studi emerge che qualunque attività richieda un alto livello di concentrazione, come imparare una nuova lingua, nuove attività fisiche, nuovi passi di danza o svolgere puzzle complicati, previene il decadimento. Tali attività infatti, stimolano il sistema di controllo della plasticità mantenendo alto il livello di produzione di acetilcolina e dopamina.
Una delle cause principali del declino psico-fisico legato all’età consiste proprio nel “non allenamento cerebrale”: durante l’infanzia, ogni giorno impariamo qualcosa di nuovo, consolidando ed automatizziamo gli apprendimenti precedenti; già dalla mezza età invece, difficilmente il soggetto si cimenta in attività che richiedono uno sforzo attentivo notevole come per esempio imparare una nuova lingua. Le principali attività che svolgiamo sono tutte ripetizioni di abilità già acquisite nel tempo (leggere il giornale, svolgere la propria professione, parlare la propria lingua). Si potrebbe così arrivare ai 70 anni senza aver impiegato pienamente i sistemi che regolano la plasticità cerebrale (N.Doidge ,2007).
Anche a livello uditivo, ascoltare musica o svolgere esercizi di selezione degli stimoli uditivi sono valide attività di rallentamento del decadimento cognitivo: studi di neuro immagine funzionale dimostrano che i soggetti “esercitati” a livello uditivo, non manifestano all’analisi PET segni di declino metabolico nei lobi frontali come invece è rilevabile nei soggetti “non esercitati”. Anche per quanto riguarda la plasticità visiva, sono stati elaborati esercizi per i lobi frontali che supportano le “funzioni esecutive” come ad esempio concentrarsi sugli obiettivi, classificare e cogliere a livello percettivo uno stimolo e prendere una decisione secondo delle istruzioni (dedicare un’ora al giorno alla ricerca sul web per esempio, stimola l’attivazione dei circuiti neurali dell’attenzione).
Queste sono solo alcune delle indicazioni che emergono dagli studi scientifici e dalle ricerche applicate, sottolineiamo che comunque i programmi d’intervento tesi alla stimolazione cognitiva del rinforzo delle riserve cerebrali in tarda età, devono prendere in considerazione non solo i criteri cronologici, ma anche e soprattutto quelli psicologici e sociali che si legano a questa particolare fase della vita. Bisogna cioè definire cosa quel soggetto sa fare e può essere ancora in grado di fare e quali potenzialità residue possono ancora essere sfruttate per un migliore adattamento all’ambiente.
Di *Pasquale Romeo Responsabile di Psichiatria e Psichiatria Forense Gruppo di Ricerca in Scienze Medico-Legali, Sociali e Forensi Università di Siena; *M.Laura Falduto, Psicologa.