Solo pochi titoli e pochi registi hanno fatto grande il cinema italiano nel mondo. Uno di questi è Vittorio De Sica, autore tra l’altro di opere come “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Umberto D.”, capolavori assoluti di quella che è stata la stagione più gloriosa del nostro cinema, il neorealismo. Morto a 73 anni, quarant’anni fa il 13 novembre. Vittorio De Sica con sette film neorealisti ha ribaltato il cinema nel mondo e mentre si facevano i film nei teatri di posa ha mostrato che il cinema si poteva fare anche con due pezzetti di legno e un fil di ferro, in mezzo alla strada, con attori non professionisti. Film che raccontavano la verità perché sentiva il bisogno ed il dovere di dire la verità. Christian De Sica, suo figlio, ricorda: «Quando è morto, perché papà era un uomo molto semplice, molto umile, che tornava a casa, si metteva le pantofole e guardava la partita o giocava con noi. Quando è morto ho saputo che in una cassa sepolta sotto terra a Bruxelles, c’erano una copia di “Guernica” di Picasso, una partitura della “Sagra della primavera” di Stravinsky e una copia di “Ladri di biciclette” di papà, a testimonianza del ventesimo secolo. Quando ho letto questo, ho capito che papà aveva fatto qualcosa di grande. Mi ha insegnato alcune cose fondamentali, poche, come la disponibilità, la professionalità e il non sentirti mai leader, anche quando le cose ti vanno bene, perché recitare è un mestiere costruito sull’acqua e soprattutto è un mestiere che si fa in clan, in famiglia, e quindi devi ascoltare sempre tutti. E ho sempre seguito il suo consiglio di studiare molto e infatti ho sempre il copione sulle ginocchia e non faccio altro che leggerlo e rileggerlo.Quando ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero per “Il giardino dei Finzi Contini”, non è andato. Io gli dicevo, ma papà perché non andiamo? E lui, ma no, ma lascia stare, che ti frega, tanto il film è andato bene, è piaciuto, andando all’Oscar susciti l’antipatia di tutti i colleghi. Era fatto così». Fu il suo quarto premio Oscar vinto.