Oltre venti vittime, per la maggior parte turisti. Quarantacinque persone ferite. E’ il bilancio dell’attentato al Museo del Bardo a Tunisi. Uno choc per la Tunisia, perché i terroristi con questa mossa hanno voluto infliggere un colpo sia alla cultura, sia alla politica del Paese arabo (il Museo e il Parlamento tunisino sono si trovano a due passi). Ma non è solo questo. La Tunisia si trova in una situazione delicata perché confina con la Libia, dove dilagano i jihadisti e da dove partono i barconi pieni di profughi. E dopo la Primavera araba, il Governo sta portando avanti una politica per rendere la Tunisia una democrazia moderna. Progetto Italia News ha intervistato oggi Imen Ben Mohammed, deputata del Parlamento tunisino, per far chiarezza sul contesto politico della Tunisia.
Onorevole, qual è la situazione in Tunisia dopo l’attentato al Bardo?
Prima di tutto voglio spendere due parole sull’attentato in sé. È stato un attacco diverso rispetto agli altri attentati, diverso è stato il messaggio che hanno voluto trasmettere. Questo è stato il primo avvenuto in una città. E assaltando il museo del Bardo, i terroristi hanno voluto attaccare la cultura musulmana e tunisina. Ma anche la politica. Infatti, il Museo si trova vicino al Parlamento. È anche un colpo alla convivenza perché erano presenti sia tunisini che turisti europei. E c’era l’obiettivo di attaccare l’economia che è anche basata sul turismo. Noi abbiamo voluto dare una risposta politica, continuando a lavorare sulla legge antiterrorismo. La nostra è una strategia culturale, religiosa e portiamo avanti anche quella politica. Questo non è stato il primo attacco che la Tunisia ha subito: però il terrorismo non minaccia solo noi, ma anche gli altri paesi del Mediterraneo. In sostanza, la strategia tunisina è quella di puntare sulla sicurezza militare, sociale ed economica per dare una soluzione intera contro il fenomeno.
Il popolo tunisino come sta reagendo?
Subito dopo l’attentato, c’è stata una marcia internazionale dove hanno partecipato i politici degli altri paesi insieme al popolo tunisino. Ma sono sorte anche altre marce spontanee lo stesso giorno dell’attentato. Sono stati gesti di solidarietà. Siamo uniti non ci fanno paure queste minacce. Il popolo ora ha più solidarietà ma la situazione non è stabile a causa del vicino Libia. La reazione è stata di coraggio e di solidarietà. Tutta la gente è scesa in piazza, è stato un gesto spontaneo.
Ci sono timori per altri attentati?
Siamo sempre in allerta, la situazione in Libia non è tranquilla. Potrebbe esplodere in qualsiasi momento, tutta la regione è in stato d’allerta. Ci sono gruppi che si stanno espandendo e alcuni terroristi vengono ancora fermati sul confine: è un pericolo per tutta la regione. La strategia da attuare contro il terrorismo non può essere solo Tunisia, ma deve esserci collaborazione tra Algeria Europa e soprattutto Italia: deve essere una strategia comune.
Possibili infiltrazioni terroristiche? La situazione ai confini com’è?
C’è una zona militare fra Tunisia e Libia, ma c’è sempre il rischio. Effettuiamo grandi controlli sul confine con operazioni condotte insieme all’Algeria. Siamo in massima allerta. Sì è possibile che vi siano infiltrazioni ma ci teniamo pronti.
Quale sarà il percorso della Tunisia? Cosa farà ora?
La Tunisia dalla rivoluzione ha iniziato le riforme politiche, con una nuova costituzione. Dopo le elezioni del 2014 abbiamo formato un Governo di grandi intese con 4 partiti. La Tunisia è riuscita a fare riforme politiche contro la possibilità di instaurare una nuova dittatura. Ma senza le riforme economiche non ci sarà mai una democrazia stabile. Senza una buona politica, non c’è economia e non c’è sicurezza.
Questi sono due temi fondamentali perché i terroristi lavorano sui giovani disagiati. Perciò la Tunisia vuole operare per venire incontro a questi giovani proprio per evitare l’arruolamento. È iniziato un processo che stiamo portando avanti per puntare sui giovani.
Alessandro Moschini
Un Progetto per la arginare i flussi migratori che attraversano la Tunisia per approdare in Europa del Centro Studi Parlamentare Forum per la Democrazia Partecipativa: