1992-2014, Milano:intrecci tra affari e politica.La storia si ripete

Non basta abbattere i partiti per rinnovare la politica.

Primo Greganti, Gianstefano Frigerio, vecchie conoscenze della tangentopoli del 1992 sono tornati, o meglio non erano mai andati via. Gli arresti del giorno 8 Maggio a Milano, ci insegnano che non basta cancellare i partiti a colpi di inchieste giudiziarie per risanare la politica, anzi una politica senza partiti diventerebbe più facilmente preda di faccendieri e tangentari senza scrupoli. Dopo vent’anni niente si è fatto in termini di trasparenza, si è solo fatto finta di varare norme che avrebbero dovuto garantirla, ma che concretamente l’hanno nascosta dietro una foresta di astrusità ed inefficacia. E’ rimasto intatto il potere di discrezionalità della politica nell’assegnare gli appalti, dove non conta il prezzo che se è basso lo si può alzare, come è rimasto lo stesso oligopolio di finte imprese che si aggiudicano gli appalti solo formalmente, ma nella sostanza a realizzarli saranno i poveri cristi dei subappaltatori, quelli che lavorano, quelli che vengono sottopagati, quelli esposti al volere supremo delle finte grandi imprese, che però godono del privilegio di saper arrivare a chi conta. Una cosa però sembra cambiata rispetto a vent’anni fa, lo si è appreso dagli atti dell’inchiesta sull’Expo a Milano, si sarebbero, almeno apparentemente, ridotti i costi delle tangenti, dal 5% della Prima Repubblica, allo 0,80 dell’Expo, forse è lo sconto crisi. Ma al di la delle considerazioni sui fatti verificatisi, il problema principale da risolvere rimane sempre lo stesso: la politica deve cambiare mentalità nella gestione del danaro pubblico. Ma insieme al risanamento della politica occorre un’organica riforma della giustizia in generale, unitamente ad una rivisitazione del codice penale e di procedura penale e soprattutto quest’ultimo lascia, in alcuni suoi istituti fondamentali, un ampio potere di discrezionalità ai magistrati nell’applicazione delle norme. Quanto asserito è confermato dall’inchiesta di Milano, dove la Procura si è trovata divisa sui i provvedimenti da adottare. Infatti il coordinatore del pool  per i reati contro la pubblica amministrazione,dr. Alfredo Robledo,  in totale disaccordo con il Procuratore Capo, si è rifiutato di firmare i provvedimenti restrittivi della libertà personale degli indagati tant’è che il dr Edmondo Bruti Liberati si è affrettato a spiegare che il suo collaboratore non ” condivideva l’impostazione dell’inchiesta”. Questo vuol dire che si poteva agire anche diversamente, che non era necessario o addirittura non ricorrevano i presupposti per l’applicazione delle misure restrittive, che non c’era bisogno di suscitare tanto clamore e gettare,così, fango inutile sul’Expo 2015, su cui non solo la città di Milano, ma tutto il Paese, ha puntato per il rilancio della sua immagine nel mondo. Quindi dietro allo scudo dell’ obbligatorietà dell’azione penale si cela un pericoloso margine di discrezionalità da parte della magistratura, che riguarda sia i modi che i tempi. Questo non fa bene né ai cittadini, né alla stessa magistratura che spesso, come è accaduto a Milano, si ritrova al suo interno divisa. Non si capisce bene, perché sino ad oggi la politica, anche riguardo ad un problema così delicato,come quest’ultimo citato, se ne sia lavato le mani. Forse per paura? Per convenienza? O tacita connivenza?

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