Per la politica americana, quello che sta per chiudersi passera’ alla storia come l’anno dell’impeachment: l’anno in cui Donald Trump e’ diventato il terzo presidente degli Stati Uniti incriminato dal Congresso e l’unico al primo mandato. Ma c’e’ stato molto di piu’. Sono stati dodici mesi ad alta intensita’, in linea con la tradizione del miliardario insediatosi della Casa Bianca, che ha dominato la scena mondiale, sui social e nella vita reale, giocando piu’ partite: da quello sulla lotta agli immigrati clandestini alla guerra dei dazi con la Cina, dal gelo con l’Iran alla lotta al terrorismo. In mezzo, quarantuno ‘new entry’ nell’amministrazione, tra cui due segretari alla Sicurezza interna, uno alla Difesa e il consigliere agli Esteri. E poi lo shutdown, il blocco parziale dei servizi federali, fino all’emergere del vero avversario politico: la speaker della Camera, Nancy Pelosi.
Ma ci sono stati soprattutto due giorni che segnano un primo e un dopo nel 2019 di Trump e, forse, del suo mandato: quelli del 24 e 25 luglio. Nel giro di ventiquattr’ore, si e’ chiuso ufficialmente il Russiagate e si e’ aperto l’Ucrainagate; e Trump e’ passato dal successo a nuovi guai. Il 24 il procuratore speciale, Robert Mueller, titolare dell’inchiesta sulle interferenze russe nelle presidenziali 2016, testimonia davanti al Congresso. Il suo intervento, incerto, balbettante, trasforma il momento tanto atteso dai Democratici, quello che doveva essere l’atto d’accusa in diretta tv, in un flop mediatico. L’ombra di aver utilizzato i russi per gettare discredito sull’avversaria democratica, Hillary Clinton, e vincere le elezioni, non scalfisce l’immagine del presidente. L’indomani, il 25 luglio, pero’, accade qualcosa che emergera’ solo due mesi dopo. Trump telefona al suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, e gli chiede di indagare Hunter Biden, figlio del suo potenziale avversario alle presidenziali, Joe Biden. Se il Russiagate ha segnato la prima meta’ dell’anno, l’Ucrainagate ha contraddistinto la seconda, culminata nel voto della Camera che, il 18 dicembre, ha approvato l’impeachment per due reati: abuso di potere e ostruzione al Congresso. Il primo, per aver fatto pressione su Zelensky utilizzando i fondi militari destinati all’Ucraina come leva, passera’ con 230 voti a favore e 197 contrari. Il secondo, aver negato al Congresso testimoni e documenti, verra’ approvato con 229 si’ e 198 no.
E’ stato l’epilogo di un anno fatto di scontri continui. Ogni mese, ce n’e’ almeno uno: a gennaio l’attacco al gigante tech cinese Huawei, a febbraio la nomina del contestato ministro della Giustizia, William Barr. A marzo Trump riconosce la sovranita’ di Israele sulle Alture del Golan, ad aprile minaccia il Messico di chiudere il confine, a maggio lancia la guerra dei dazi alla Cina, a giugno se la prende con l’Iran che aveva annunciato l’abbattimento di un drone americano. Quelli erano i giorni di gloria, in cui Trump era stato il primo presidente Usa a oltrepassare il confine della Corea del Nord. L’immagine della stretta di mano tra lui e il leader coreano Kim Jong-Un e’ storia. Se luglio e’ il crocevia, agosto sara’ quello segnato dalle stragi di El Paso e Dayton, trentuno morti, che rimettono Trump al centro degli attacchi, per la sua difesa dell’industria delle armi. Settembre inaugura lo scandalo Ucraina, con le rivelazioni della “talpa”, la trascrizione della telefonata tra presidenti, e la decisione di Pelosi che annuncia, il 24, l’avvio formale della procedura di impeachment. Ottobre, aperto con la visita alla Casa Bianca del presidente Sergio Mattarella e l’annuncio del ritiro dell’esercito americano dalla Siria, sara’ il mese in cui si registra il vero successo politico del presidente: l’annuncio, il 27, della morte del capo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. Ma e’ solo un lampo. Davanti a un Trump che su Twitter magnifica ogni giorno i risultati dell’economia, il tasso di disoccupazione e’ il piu’ basso degli ultimi cinquant’anni, i democratici non mollano la presa. A novembre i testimoni si presentano davanti alle commissioni in sedute fiume trasmesse in diretta tv. Dicembre sara’ il mese del voto finale, che segnera’, forse in modo irreversibile, lo spirito del presidente, quello capace di accogliere alla Casa Bianca i campioni di college del football, offrendo hamburger, e di chiedere, senza successo, alla Danimarca di vendergli la Groenlandia. “Sapete, sono il prescelto”, aveva detto con aria divertita ai reporter fuori dalla Casa Bianca, a meta’ agosto, quando il conto alla rovescia dell’impeachment era gia’ cominciato, ma nessuno ancora lo sapeva.