Soldati americani che abbracciano anziane signore e baciano giovani donne. Partigiani e partigiane che sfilano per le città e strappano insegne fasciste. Folle gioiose che applaudono al passaggio delle jeep. Le immagini del 25 aprile non raccontano solo la Liberazione dal nazifascismo. Sono simboli di una storia comune, icone di un passato condiviso, su cui si è costruita buona parte dell’identità nazionale italiana. Da Roma a Milano, da Torino a Bologna: le foto che tornano puntualmente fuori dagli archivi in occasione dell’anniversario della Resistenza celebrano il movimento partigiano come una delle esperienze fondanti dell’Italia del dopoguerra. Un fenomeno chiave, al di là dei giudizi storici di merito e della retorica, per capire i valori su cui è nata la Repubblica.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 tra l’Italia di Vittorio Emanuele III e le potenze alleate, la guerra era tutt’altro che finita. La reazione dei tedeschi fu immediata. Il re e il maresciallo Badoglio, a cui era stato affidato l’incarico di governo, abbandonarono Roma senza lasciare chiare indicazioni all’esercito in piena confusione.
Mentre le istituzioni si rifugiavano nel sud dove gli Alleati avevano iniziato a risalire lo stivale, nel nord nasceva la Repubblica di Salò di Mussolini, liberato dai tedeschi dalla prigione sul Gran Sasso in cui era stato rinchiuso.
Ebbe inizio allora la guerra di liberazione italiana. Liberazione da un nemico che fino a poco prima era un alleato. In questo contesto, a sud rinascevano i partiti che nel periodo fascista erano stati ridotti alla clandestinità, a nord e in centro Italia la resistenza antifascista combatteva il nemico dall’interno.
Insieme, i partiti antifascisti e molteplici gruppi partigiani formarono il Comitato di Liberazione Nazionale. Ne rimaneva fuori il Partito Repubblicano, che pur partecipando alla Resistenza rifiutava il compromesso con la monarchia. Il Comitato Centrale aveva sede a Roma ed era composto da esponenti dei vari partiti come Giorgio Amendola (PCI), Pietro Nenni (PSI), Ugo La Malfa (Pd’a) e Alcide De Gasperi (DC). L’obiettivo era sia militare sia politico. Da un lato bisognava coordinare la guerriglia partigiana contro i nazi-fascisti, dall’altro decidere il futuro assetto del paese.
A giugno, dopo lo sbarco ad Anzio, le truppe alleate liberarono Roma. La liberazione dell’Italia si era rivelata un’operazione più lunga del previsto. Solo ad aprile 1945 gli alleati riuscirono a sfondare la Linea Gotica e ad entrare nella Pianura Padana. Dopo la liberazione di Bologna e Genova, il CLNAI al grido ‘arrendersi o perire’, intimò tutte le forze partigiane all’assalto. Lo stesso giorno, in nome del popolo italiano e come delegato del governo, emanò per decreto legislativo la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti. Di lì a qualche giorno, lo stesso Mussolini sarebbe stato fucilato e il suo corpo scempiato esposto a piazzale Loreto a Milano, dove l’anno precedente aveva avuto luogo un eccidio di partigiani.
Il 25 aprile è stato scelto nel 1946 come giorno simbolico per celebrare l’impegno degli antifascisti nel liberare il paese, impegno che è costato circa 200.000 vite.
La Resistenza fu per molti una scelta di vita. E fu una anche storia di donne coraggiose. Ci fu la quotidiana resistenza e il quotidiano esercizio di coraggio delle ‘staffette’, cioè coloro che superavano le linee tedesche per portare i messaggi da una parte all’altra dei fronti di combattimento. Ci fu la quotidiana resistenza di chi soccorse partigiani, fuggiaschi e perseguitati e di chi, donna coraggiosa, li ospitò nella propria casa, non curandosi delle conseguenze ben note, se solo i Tedeschi le avessero scoperte.
Tina Anselmi, sconvolta dalla vista di un giovane gruppo di partigiani impiccati si unì alla Resistenza. Tina divenne staffetta della Brigata Autonoma ‘C.Battisti’ e del Comando regionale del Corpo Volontari della Libertà.
Vittoria Nenni, terzogenita di Pietro Nenni, entrò a far parte della Resistenza francese. Arrestata dalla Gestapo, con l’accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere svolto, soprattutto negli ambienti universitari, propaganda gollista antifrancese fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz dove morì. Avrebbe potuto salvarsi, rivendicando la nazionalità italiana. Non lo fece, decidendo di morire coraggiosamente.
Nilde Iotti, partecipa attivamente alla Resistenza organizzando i ‘Gruppi di difesa della donna’ che raccolgono indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani e si adoperano per portare messaggi, custodire liste di contatti, preparare case-rifugio, trasportare volantini, opuscoli e anche armi.
Sono storie di combattenti, di 35 mila donne. Di 70 mila che fecero parte dei Gruppi di difesa della Donna. 4653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2750 vennero deportate in Germania, 2812 fucilate o impiccate. 1070 caddero in combattimento, 19 vennero, nel dopoguerra, decorate di Medaglia d’oro al valor militare.
Cocis