25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Nel 1999 è stata istituita dalle Nazioni Unite la Giornata internazionale per l’eliminazione  della violenza sulle donne. dalle Nazioni Unite. Una ricorrenza che invita i governi, le organizzazioni internazionali e le Ong a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema attraverso eventi, cerimonie e campagne sul tema. Il colore ufficiale della giornata è l’arancione. Da cui lo slogan: ‘Orange the World’. Il 25 novembre segna l’inizio dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precedono la Giornata Mondiale dei diritti umani del 10 dicembre. Ed è stato scelto per via di un fatto di cronaca, un delitto efferato avvenuto nella Repubblica Dominicana nel 1960. Protagoniste le ‘mariposas’, le tre sorelle Mirabal: violentate, stuprate e torturate per ordine del dittatore Rafael Leonidas Trujillo. Il primo incontro femminista latinoamericano e caraibico, svoltosi a Bogotà, capitale della Colombia, si tenne nel 1981 e proprio in quell’occasione venne celebrata la memoria delle tre attiviste. Fu il primo passo per l’istituzione della Giornata oggi celebrata in tutto il mondo.

Trujillo mandava i propri uomini a requisire giovani donne con l’obiettivo di approfittare, o propriamente abusare, sessualmente di queste. In alcune occasioni, con lo stesso obiettivo, le invitava a partecipare a balli e feste: come successe a Minerva Mirabal. Quando la donna fu invitata a un ballo organizzato solo per lei, e si trovò davanti alle avances del  ‘Generalissimo’ Trujillo. . La donna rifiutò comunque il despota e cominciò così la persecuzione. Il padre delle sorelle venne arrestato e imprigionato. Morì poco dopo la scarcerazione. Lei stessa venne tenuta in ostaggio con la madre in un albergo di Santo Domingo con il ricatto: la liberazione in cambio di un rapporto sessuale. Le due donne riuscirono a fuggire. Minerva venne esclusa dalle lezioni universitarie e riammessa soltanto dopo un discorso in onore di Trujillo. La donna si laureò con il massimo dei voti e sposò Manuel Tabarez.

Divennero tutti attivisti: le sorelle e i rispettivi compagni. Fondarono il Movimento 14 giugno (‘Mariposas’, farfalle, era il loro nome in codice), un gruppo clandestino che si opponeva alla dittatura. E vennero tutti imprigionati. Le pressioni della comunità internazionale e della Chiesa Cattolica portarono alla liberazione delle donne.

Il 25 novembre 1960, proprio di ritorno da una visita al carcere dov’erano detenuti i mariti, le donne furono vittime di un’imboscata. Erano le 19:30 circa. Cinque agenti del Servizio dell’Intelligence militare fermarono la jeep sulle quali le sorelle Mirabal stavano viaggiando. Le sequestrarono, le colpirono ripetutamente, le violentarono e le strangolarono fino alla morte.

Il caso contribuì alla caduta del regime di Trujillo. Il dittatore venne ammazzato nel giugno 1961 in un attentato: un colpo di fucile lo colpì mentre in automobile viaggiava verso la sua città natale, San Cristòbal, che aveva fatto ribattezzare ‘Ciudad Trujillo’.

Il Center for Global Leadership of Women avviò la campagna dei 16 giorni di attivismo e propose la Giornata contro il femminismo il 25 novembre. L’Assemblea Generale delle Nazione Unite ha accettato nel 1993 di adottare la data scelta dalle attiviste latinoamericane. Lo slogan della giornata del 2020 è ‘Orange the World: Fund, Respond, Prevent, Collect!’.

Se si tengono sotto mano i numeri diffusi dall’Istat, che evidenziano un problema endemico e grave: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, nel 13,6% dei casi dal partner o l’ex partner. Nel 2019, la Polizia di Stato ha censito 88 casi di violenza di genere ogni giorno, mentre l’ultimo Dossier del Viminale afferma che durante il lockdown ogni due giorni una donna è stata uccisa in famiglia.

Le cronache ci parlano continuamente di femminicidi e abusi perpetrati nelle mura domestiche (l’80% del totale), ma anche di ‘nuove’ forme di violenza come il revenge porn, ovvero la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone che vi compaiono. L’ultimo episodio è diventato di pubblico dominio pochi giorni fa: una giovane maestra d’asilo licenziata e ricattata dopo che il suo ex fidanzato aveva condiviso nella chat del calcetto video di nudo che la ritraevano. La notizia ha animato il dibattito sui social, dove è nata una vera e propria campagna di solidarietà a cui hanno aderito centinaia di persone, postando foto in cui esibiscono cartelli con l’hashtag #iostoconlamaestra.

Nel 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che impegna gli Stati ad adottare una legislazione ad hoc in grado di assicurare tutela e protezione alle vittime. Le leggi approvate negli ultimi anni dovrebbero andare in questa direzione: nel 2009 è stato introdotto il reato di  stalking, che sanziona gli atti persecutori, mentre l’anno scorso il Parlamento ha approvato il ‘Codice Rosso’, un testo che oltre a inasprire le pene per violenza sessuale, maltrattamenti e stalking ha creato nuove fattispecie penali come il revenge porn, la costrizione o l’induzione al matrimonio, la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare e il delitto di sfregio.

Al plauso che ha accolto l’adozione di queste norme però fanno da contrappunto le mille difficoltà legate alla loro applicazione pratica. Il comitato GREVIO, incaricato di vigilare sul rispetto della Convenzione, nel suo ultimo report ha evidenziato diverse criticità legate soprattutto ai ‘servizi di supporto e ospitalità’ che ‘sono erogati per lo più da centri anti-violenza gestiti da associazioni’: strutture che non godono di risorse sufficienti e in qualche caso devono ingaggiare vere e proprie battaglie contro le istituzioni per restare aperte. L’accesso diseguale ai finanziamenti inoltre comporta disparità nella qualità del servizio offerto da Regione a Regione.

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