Il Pm di perugia chiede il rinvio a giudizio per l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, indagato per corruzione. Tegola sulla magistratura italiana per la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex numero uno dell’Associazione Nazionale Magistrati, coinvolto nel caso Centofanti.
Le indagini su Palamara sarebbero partite da una segnalazione proveniente da Roma, specifica la Repubblica. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbe il rapporto proprio tra l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e Centofanti. A poche ore di distanza dalla diffusione della notizia dell’iscrizione di Palamara nel registro degli indagati, la Guardia di Finanza ha avviato una serie di perquisizioni nell’abitazione del soggetto.
La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per Luca Palamara, Fabrizio Centofanti, Adele Attisani e Giancarlo Manfredonia. Tribunale Le ipotesi investigative su Palamara Dopo l’arresto nel 2018 di Centofanti, fermato con l’accusa di frode fiscale, Palamara dovrà rispondere delle accuse di corruzione per i suoi rapporti e i suoi scambi di cortesie con il lobbista.
Stando alle ipotesi investigative il rapporto tra i due sarebbe stato particolarmente cordiale fatto anche di regali preziosi che difficilmente trovano una spiegazione e che comunque sarebbero inopportuni alla luce delle rispettive cariche e posizioni.
Arrestato nel febbraio del 2018, Fabrizio Centofanti è un imprenditore vicino al Partito democratico e alla Regione. Secondo l’accusa proprio da una sua società sarebbe partito un pagamento di oltre settantamila euro destinato a Maurizio Venafro, capo del gabinetto della giunta di Nicola Zingaretti. Il pagamento giustificherebbe una consulenza fittizia che ha insospettito gli inquirenti. Proprio questi soldi sarebbero poi rientrati nelle casse di Centofanti, o meglio di una sua società. Il bonifico, indirizzato alla Cosmec, era stato erogato dalla Regione Lazio. Le indagini sul caso avevano portato a parlare di Mafia Lazio. Gli schemi adottati infatti sarebbero stati molto simili a quelli utilizzati dagli architetti di Mafia Capitale, un’etichetta cancellata dai giudici.