Lo si è capito da tempo, da quando i Talebani hanno conquistato Kabul polverizzando la debole resistenza dell’esercito governativo che solo gli occidentali ritenevano esistesse. Ma nessuno, fino ad oggi, aveva avuto il coraggio di ammetterlo che si dovrà, per forza, lasciare qualcuno indietro, alla mercè dei tagliagole Talebani.
“Il nostro obiettivo è quello di portare fuori dall’Afghanistan quante più persone possibile, ma le dimensioni del compito sono tali che non tutti riusciranno a lasciare il Paese. Stiamo assegnando priorità alla gente in modo crudele”, ammette il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, in una intervista alla Bbc in cui precisa che nelle ultime 24 ore sono state evacuate duemila persone. Da aprile ne sono state evacuate 10mila e, dunque, è evidente nei numeri la sproporzione e l’accelerazione frenetica di questi giorni quando ci si è iniziati a rendere conto che non si sarebbe fatto a tempo a portarli via tutti quelli che avevano collaborato con la coalizione abbandonandoli al proprio destino.
Ore di attesa “passando attraverso l’inferno” per arrivare in aeroporto. “Gettati davanti ai lupi” a lottare l’uno contro l’altro per riuscire a entrare per vedere poi svanire il tanto sognato viaggio per la salvezza.
E’ il drammatico racconto di quanto accaduto all’aeroporto di Kabul a un famiglia composta da padre madre e due bimbi, che avrebbero avuto il diritto di imbarcarsi per lasciare l’Afghanistan ma non ci sono riusciti. Sono stati picchiati, bambini compresi, e sono dovuti andare via. Ora temono anche ritorsioni e nuove violenze dopo una salvezza solo sfiorata e non afferrata.
A raccontare l’epopea al Cisda, il Coordinamento italiano sostegno donne afgane, sono stati gli stessi protagonisti-vittime: la famiglia di Ahmed (nome di fantasia per tutelarne l’identità). Nonostante avessero diritto ad accedere a uno dei voli verso un paese europeo, Ahmed, la moglie e i due bambini non ci sono riusciti a causa della calca e delle violenze dei talebani e hanno dovuto rinunciare a partire.
Questo il drammatico racconto: “Io, mia moglie e i miei figli siamo andati all’aeroporto di Kabul nelle prime ore del mattino per essere evacuati. Abbiamo attraversato l’inferno. Non trovo le parole per descrivere la situazione. Migliaia di persone cercano di entrare in aeroporto”.
“Le ore che abbiamo trascorso lì erano un incubo. Ci sono stati momenti in cui eravamo senza fiato, mentre le persone spingevano e tiravano. Molti avevano aspettato per giorni fuori dall’aeroporto. Abbiamo cercato continuamente di avvicinarci al cancello, ma persino spostarci di un centimetro era difficile. Tutti stavano cercando di fuggire dal paese, ma non sapevano come entrare nell’aeroporto. Mia moglie e i nostri due bambini hanno dovuto assistere alle scene peggiori della loro vita”.
I miei figli non avevano mai visto i talebani, ora ne hanno sperimentato la brutalità
“Come padre, è stato il momento più difficile – spiega ancora Ahmed – perché stavo facendo del mio meglio per portarli al sicuro dall’altra parte del muro verso un futuro migliore, ma assistevo alla loro paura mentre venivamo picchiati senza pietà.
Mi sentivo impotente, perché non potevo proteggerli mentre venivano picchiati. Ho dovuto supplicare i talebani di risparmiare almeno i bambini. I proiettili sono stati sparati indiscriminatamente e chiunque avrebbe potuto essere colpito. Non riuscivo a trattenere le lacrime, perché non avevo mai immaginato che i miei figli e la mia famiglia avrebbero vissuto l’umiliazione che avevo vissuto io 25 anni fa”.
La moglie, laureata in legge e attivista, “è stata picchiata sulla testa e si è sentita umiliata anche nell’animo. Mi ha detto che non aveva la forza di alzarsi in piedi dopo aver visto il nostro bambino impallidire e sul punto di svenire per la paura. Mia figlia e mio figlio mi stringevano forte le mani. Piangevano, mi dicevano che saremmo stati uccisi e mi chiedevano di tornare a casa. Il mio bambino non riusciva a respirare per la paura e ho pensato che lo stavo perdendo. Mia figlia non urlava più. Le uscivano solo lacrime che le rigavano le guance”.
“Ho provato in tutti i modi a contattare qualcuno per chiedere aiuto, ma non è stato possibile. La mia famiglia – insiste – ha attraversato l’inferno; inferno non è nemmeno la parola giusta. Volevo portarli lontano dal pericolo, invece li ho messi in pericolo e ora sono traumatizzati.”
“Da quando abbiamo lasciato l’aeroporto, la mia famiglia è così spaventata! I miei bambini temono che i talebani bussino alla porta, ci portino via e ci uccidano. Sto cercando di consolarli, ma le nostre vite sono a rischio e non so quali saranno le conseguenze, dopo che i talebani hanno visto che abbiamo tentato d’imbarcarci e poi siamo tornati a casa. Non volevo che i miei figli subissero quello che ho passato io 25 anni fa, nel brutale periodo dei talebani al potere. Le scene di oggi all’aeroporto mi hanno riportato alla mente quei ricordi.”
Forse abbiamo i giorni contati, non so quando busseranno alla mia porta.