Alessandro Giuli almeno per ora non è in bilico perché, qualora lo fosse, il problema diventerebbe più grande di Giuli. Beh, insomma, dal Colle una telefonatina partirebbe, se si dimettesse il secondo ministro della Cultura in un mese: scusate, ma che cosa sta succedendo? Così sostiene, a ragione, chi ha dimestichezza col Quirinale, a destra come a sinistra.
Giorgia Meloni trova la conferma che il suo partito sta dando una brutta immagine all’esterno sul caso di Francesco Spano, il capo di gabinetto di Alessandro Giuli, le cui dimissioni invece di placare le polemiche le hanno alimentate. Il ministro ha fatto sapere come la pensa al sottosegretario Alfredo Mantovano, non vuole essere commissariato e controllato da Palazzo Chigi, «lasciatemi lavorare». Una richiesta di autonomia che non può cadere nel vuoto. Anche perché viene reiterata, il ministro continua a minacciare, più o meno velatamente, un suo passo indietro. Una prospettiva che la premier non può accettare.
Meloni alza il telefono per un chiarimento con il ministro. Giuli le ribadisce il concetto già espresso a Mantovano: non ammette più intrusioni. Il ministro chiarisce che il suo posto è a disposizione, nel caso in cui non ne venga rispettata l’autonomia, Meloni non vuole toccare questo tasto, «non c’è motivo perché tu te ne vada». Per la premier, infatti, dover cambiare ancora il ministro della Cultura, dopo la traumatica e recente uscita di scena di Gennaro Sangiuliano vorrebbe dire, oltre a una brutta figura, aprire una sorta di crisi di governo. Quindi bisogna andare avanti, cercando di ricostruire i ponti crollati sotto i colpi delle accuse di Fratelli d’Italia a Spano, con un’operazione di delegittimazione che, secondo Giuli, è stata orchestrata da Sangiuliano.
Il messaggio del ministro è rivolto soprattutto a Giovanbattista Fazzolari, il quale avrebbe cercato, secondo diverse fonti accreditate, di imporre le sue decisioni sullo staff del ministero. Lo stesso Fazzolari è intervenuto per smentire gli articoli che parlavano di rapporti tesi con Giuli: «Ricostruzioni del tutto inventate». Il ministro in modo meno drastico parla di «legittimo chiacchiericcio mediatico, ampiamente sopravvalutato». E in questo clima di tregua, interviene il presidente della commissione Cultura della Camera Federico Mollicone, protagonista di una lite in Transatlantico con la sorella del ministro: «Stimo Antonella Giuli e sostengo Alessandro».
Per capire l’esito di questa battaglia inedita nel suo genere bisognerà vedere chi sarà il successore di Spano. I nomi che sarebbero spinti da Palazzo Chigi sono Cristina Luciani, avvocatessa, dirigente dell’ufficio del Garante della privacy e moglie di Luca Sbardella, deputato di FdI vicino a Giovanni Donzelli. L’altro nome è quello di Valentina Gimignano, consorte di Basilio Catanoso, storico dirigente della destra catanese. Nomi che, se scelti, dimostrerebbero che il commissariamento di Giuli è ormai un fatto. La decisione definitiva verrà presa dopo la puntata di Report sul ministero della Cultura, in onda ieri. Una trasmissione che potrebbe cambiare molte cose.
È tutto regolare”, dice Francesco Spano, “addolorato” per lo tsunami che lo ha travolto, portandolo alle dimissioni da capo di gabinetto del ministero della Cultura. Intervistato da Gabriella Cerami per la Repubblica, si dice “amareggiato” e anche di più, “addolorato” per le ultime vicende, ma convinto che “si chiarirà tutto quanto prima”, anche se nel frattempo “c’è stato un attacco alla mia vita privata e alle mie scelte”.
Francesco Spano e Anna Paola Concia: entrambi attivisti per i diritti Lgbt, entrambi di sinistra, ma professionalmente coinvolti in progetti a guida centrodestra. Spano come segretario generale al Maxxi di Giuli, e poi, per soli nove giorni, capo di gabinetto al Ministero della Cultura. Concia direttrice del progetto “Educare alle relazioni”, con il ministero dell’Istruzione di Giuseppe Valditara.
“C’è il problema che a questo Governo non interessa della Cultura. Altrimenti avrebbe scelto una persona che abbia esperienza nel settore, che sappia quello che fa, che non lasci saltare il suo capo di gabinetto solo perché il partito non lo vuole. Fossi stata Giorgia Meloni avrei impedito un’altra figuraccia su un settore così delicato. Non commento il gossip. Quel che manca è la politica. Trovatene uno normale, che si capisca cosa dice. E’ complesso? Magari cercate su Linkedin, se necessario. La responsabilità è di Meloni che non ha scelto ministri adeguati” così il leader di Azione Carlo Calenda.