di Andrea Viscardi
Il nostro Paese patisce da sempre la mancanza di un leader-guida che abbia il dono di una personalità spiccata e la possibilità di esercitare il potere in modo incisivo nell’ambito, beninteso, delle regole della democrazia. Una personalità dotata di tali caratteristiche vuol dire qualcuno con le idee chiare su come servire il proprio Paese, che sia in grado di realizzare il programma politico in base al quale ha ricevuto il mandato dalla maggioranza degli elettori, che sia altresì capace di convincere, entusiasmare e trascinare, che abbia, per dirla con un’unica parola, carisma.
Qualche giorno fa, un illustre maestro di giornalismo, al secolo Eugenio Scalfari, commentando l’ascesa di Renzi, ha dichiarato che l’attesa che suscita il primo cittadino di Firenze tra la gente, gli ricordano con molta apprensione “il bisogno” di un capo, ma conclude il suo articolo dicendo che l’Italia non ha bisogno di un capo ma di un leader. Ci permettiamo molto sommessamente di dissentire dal maestro e nel contempo vorrei rassicurarlo in merito al fenomeno Renzi: il buon Matteo non ha le qualità né il carisma di un capo, né può considerarsi un leader ma sicuramente il derivato di una grande campagna mediatica molto sottile e capziosa che viene ispirata ad arte da gruppi di poteri politici e finanziari-economici al solo scopo di sostituire il vecchio con l’usato sicuro. Ma, tornando alla figura del leader ed alla sua mancanza nel nostro Paese, bisogna sottolineare un dato fondamentale, ovvero che la nostra Costituzione ha posto normativamente dei paletti che in tutto o in parte ne impediscono la nascita. In effetti i Padri Costituenti, nel timore che una Repubblica presidenziale potesse evocare il fantasma del fascismo da poco abbattuto, o qualsiasi altra forma di autoritarismo, preferirono una Repubblica Parlamentare, in cui il capo dell’esecutivo fosse espressione di una maggioranza che si forma all’interno del Parlamento ed il Premier espressione di tale maggioranza. Questo ha fatto sì che i governi hanno avuto tutti breve durata, se si fa eccezione del quinquennio berlusconiano (2001-2006) e del governo Craxi (1983-1987), con l’effetto che il Premier finisce per essere ostaggio dei partiti che esprimono la maggioranza in Parlamento. Essi non capirono – o non vollero capire – che negli anni venti l’ascesa al potere del partito fascista con a capo Benito Mussolini fu proprio conseguenza di governi deboli, espressioni di maggioranze claudicanti e rissose, come del resto accade oggi. Tranquillamente ci sentiamo di affermare che la Democrazia voglia un leader in pieno diritto e obbligo di eseguire il programma una volta ottenuto il consenso del corpo elettorale e, di conseguenza, questi deve godere di tutti i poteri per farlo. Perché in Italia non dovrebbe esser così? Perché non si procede rapidamente alle riforme costituzionali? Perché non si dovrebbe sperare in un qualunque leader, di qualunque schieramento, che riesca a spezzare in questo Paese la trama di poteri più o meno legittimi, di lobby, di parentele, disinteressi ,che soffoca il Paese in mille modi diversi tra loro, che corrompe la formazione della volontà politica e ne procrastina la sua attuazione nel tempo? In realtà oggi gli Italiani si rendono conto che
in politica la personalità individuale è un elemento decisivo. Del resto, ogni timore che un leader con poteri decisionali possa evocare il vecchio fantasma dell’autoritarismo, viene fugato dal principio fondamentale della divisione dei poteri che serve ad impedire qualsiasi usurpazione da parte di eventuali golpisti. E’ pur vero però che questi timori vengono evidenziati ogni qualvolta si parla di riforme costituzionale finalizzate al rafforzamento dei poteri del Premier Ad ora ci appare questo il comodo paravento al nugolo di oligarchi che attraverso il trasversalismo politico cercano di tenere il Paese prigioniero dell’immobilismo.