Non è ancora smaltita la rabbia e la delusione per l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale, ma è già tempo di processi anche se in realtà i principali artefici di questo fallimento si sono autoprocessati e condannati rassegnando le proprie dimissioni irrevocabili. Stiamo parlando di Cesare Prandelli e Giancarlo Abete, rispettivamente ex commissario tecnico ed ex presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. “Mi assumo tutte le responsabilità del progetto tecnico, su ogni decisione tecnica e di preparazione. Ho già parlato con i responsabili della Figc e ho rassegnato le mie dimissioni che sono irrevocabili”. Con queste parole Cesare Prandelli ha deciso di farsi da parte, con grande dignità e coerenza. Sin dalla nascita di questa Nazionale, a poche settimane dall’inizio del Mondiale, molti (se non tutti) hanno storto il naso. Le scelte e le convocazioni di Prandelli non hanno convinto e alla fine si sono rivelate sbagliate. Lasciare fuori un goleador del calibro di Destro, in forma smagliante, o Giuseppe Rossi, rientrato in tempo per essere a disposizione, è sembrato un autogol. Ed ancora, un peso offensivo “scarso” con cinque attaccanti e nulla più, la scelta di portare solo tre terzini quando l’ormai ex ct aveva scelto che l’Italia avrebbe giocato con la difesa a quattro, modulo in cui i terzini sono vitali come l’aria. Tutte decisioni non convincenti a priori. E le critiche non sono mancate neanche in corso d’opera: perché puntare su un insolito 4 -1 – 4 – 1 quando gli uomini a disposizione sembrano perfetti per un 3 – 5 – 2 che fece le nostre fortune all’Europeo di due anni fa? Perché, come detto prima, portare tre terzini e giocare con la difesa a quattro? Perché una sola punta quando si è l’Italia? Perché questo modulo così “chiuso” contro la modesta Costa Rica contro la quale avresti dovuto imporre la tua storia, il tuo blasone, la tua classe, il tuo essere Italia? Perché così pochi minuti a Immobile, capocannoniere della Serie A, addirittura neanche entrato col Costa Rica? Perché concedere solo scampoli di partita ai vari Cerci, Cassano e Insigne? Perché, e torniamo al discorso convocazioni, portare in Brasile due uomini come Cassano e Insigne che, con tutto il dovuto rispetto, non hanno mai fatto parte di questa nazionale prima d’ora? Ci siamo trovati davanti un’Italia irriconoscibile dove dominava l’improvvisazione. E non può essere altrimenti se ti presenti a una competizione così importante e complicata con uomini nuovi e un modulo mai usato prima. E torniamo ai perché. Perché questa scelta? Sono dubbi che ci porteremo dietro almeno fino a quando Prandelli magari non le illustrerà. E conoscendo la sua dignità è probabile che le risposte arriveranno presto, così come immediate sono state le sue dimissioni motivate dalla consapevolezza di essere il primo responsabile di scelte che alla fine non hanno pagato. D’accordo, oggi l’arbitro ha condizionato tutto, non avremmo meritato di perdere. Ma neanche di vincere. Mai un tiro in porta come già accaduto contro la Costa Rica se non per il pallonetto sbilenco di Balotelli. Ed è proprio questo il grosso problema, il nocciolo di tutto: in un girone con Inghilterra e Uruguay ci può stare essere eliminati, ma non cedendo il posto al Costa Rica. Non si può essere eliminati dopo che ci si è trovati con tre punti insieme proprio al Costa Rica mentre Inghilterra e Uruguay erano ferme al palo. Bisognava vincere contro i costaricensi e oggi saremmo qui a parlare di altro. E in quell’occasione che abbiamo rovinato tutto a causa di una condizione fisica scarsa e di un atteggiamento tattico e mentale fuori luogo, troppo difensivo al cospetto di una formazione modesta. Si è sbagliato tutto o quasi e il fallimento ne è la logica e, ahinoi, ovvia conseguenza. La cosa grave è che l’Italia lascia il Mondiale già nella fase a gironi per la seconda volta consecutiva. Dopo aver toccato l’apice nel 2006, il 2010 e il 2014 segnano la pagina più nera della storia calcistica italiana. È un fallimento tattico, ma soprattutto lo è “politico”. E, anche in questo caso, naturali sono state le dimissioni di Giancarlo Abete. Con tutto il rispetto, col senno di poi, forse sarebbero dovuto arrivare nel 2010, dopo un fallimento ben più grave di questo perché si era stati eliminati da Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. “Non si può sottovalutare il secondo posto all’Europeo” ha dichiarato Abete ma va detto che, se questo risultato arriva in mezzo a due fallimentari Mondiali, forse è stato solo una bella eccezione e nulla più. Questa Nazionale è lo specchio della crisi del calcio italiano, una crisi che ha ovvie ragioni “politiche”. E allora si spera che queste dimissioni diano una scossa a tutto il movimento affinché si possano lanciare in primis i nostri giovani per far rinascere l’Italia pallonara. E magari riacquisire un po’ di potere politico che negli ultimi quindici anni almeno ci è proprio mancato. Come dimenticare le ingiustizie coreane? Come dimenticare l’essere presi a pesci in faccia da Blatter dopo aver vinto il Mondiale tedesco? E quest’anno? Due partite alle 13. E oggi? Due decisioni a nostro sfavore clamorose. Non che bisogna vincere con gli aiuti, ma almeno in maniera giusta. Non così! E come dimenticare il “decreto salva Francia” di Platini che ci ha condannati a un girone di ferro? La Francia sarebbe dovuta andare nella fascia di africane e sudamericane in quanto promossa agli spareggi ma all’ultimo momento è stato deciso che si sarebbe ricorsi a un sorteggio per decidere l’ “esclusa” ed è qui che è uscito fuori il nome dell’Italia che si trovata a dover lottare non solo con l’Uruguay ma anche con l’Inghilterra nell’unico girone con tre big. Bisognava sbattere i pugni, così come andava fatto nel 2006 o nel 2010, ma non è successo. E allora, dopo questo fallimento totale, con queste dimissioni si resetta tutto e si riparte. Sperando che i nuovi vertici, siano essi politici o tecnici, possano risollevare l’Italia, Nazionale quattro volte campione del Mondo ma negli ultimi anni solo una tremenda delusione.
Sebastiano Borzellino