ROMA – Renzi intende mandare in porto il disegno di legge della Buona Scuola, con un colpo di mano.
Questo disegno di legge, prevede centomila professori in più, una diversa organizzazione basata
sull’autonomia, più soldi per la formazione e finalmente il merito nella valutazione. Nonostante
tutto, sono molte le persone che hanno contestato questo provvedimento, chiedendone il ritiro e
soprattutto ritengono che se viene approvato porterà alla distruzione della scuola. Al Senato il
provvedimento è bloccato da migliaia di emendamenti che cercano di stopparne l’approvazione,
motivo per cui il Governo sta pensando a un maxiemendamento, che porti il provvedimento in aula
senza relatori e sul quale poi potrebbe mettere la fiducia. Dunque continua il braccio di ferro, tra le
forze politiche che vogliono andare aventi con tutto il pacchetto, e la richiesta delle opposizioni di
stralciare la parte sulle assunzioni dei centomila precari. Dal Governo il pressing è sempre più
serrato, il premier attraverso il suo profilo facebook afferma discutiamo, facciamo modifiche, ma
poi votiamo. Altrimenti saltano gli investimenti sulla scuola che arrivano per la prima volta dopo
decenni. Oggi aggiunge il premier, qualcuno parla di ricatto, ma la verità è molto semplice; puoi
assumere solo e soltanto se cambi il modello organizzativo. Dare più professori alle scuole impone
l’autonomia degli istituti e una diversa organizzazione. Altrimenti la scuola diventa ammortizzatore
sociale, per i precari e non un servizio educativo per i nostri ragazzi e le famiglie. Assumiamo i
professori per metterli a lavorare, in un sistema organizzativo diverso ( e questo spiega il ruolo del
preside, su cui si può discutere, ma qualcuno che decide nella scuola dell’autonomia ci vuole. O
pensiamo di andare avanti con le circolari da Roma? ). Se il disegno di legge già approvato alla
camera va in porto anche al Senato (conclude Renzi nel suo post) la scuola italiana avrà più risorse,
più personale ed è più forte. Perché dopo anni di tagli finalmente c’è chi investe sulla scuola non a
parole, non nei convegni.
Fabio D’Amora