‘La signorina Giulia’ di August Strindberg nella regia del cileno Cristián Planain scena dal 13 al 31 gennaio al Teatro Mercadante di Napoli. Come già sperimentato in occasione dell’allestimento di ‘La casa di Bernarda Alba’ di Federico Garcia Lorca con la regia di Lluís Pasqual, il Teatro Stabile di Napoli ha commissionato al regista cileno Cristián Plana il riallestimento della sua ‘La signorina Giulia’ (la cui edizione spagnola riscosse grande successo in America Latina), con un cast tutto italiano. Ne è protagonista un trio di attori straordinari come Giovanna Di Rauso (Giulia), Massimiliano Gallo (Giovanni) e Autilia Ranieri (Cristina), accompagnati da Adele Amato De Serpis, Mario Autore, Barbara Bonaccorsi, Cinzia Cordella, Gino De Luca, Fabiana Fazio, Marianna Pastore, Ettore Nigro, Marco Palumbo, Carlo Roselli, nei ruoli dei campesinos. L’ideazione dello spazio, le luci e i costumi sono di Angela Gaviraghi; la produzione è del Teatro Stabile di Napoli e Fundación Santiago a Mil (Cile). Per la sensibilità dei temi e il drammatico epilogo, l’atto unico fu accolto al suo debutto nel 1889 con profonda indignazione, suscitando scandalo nell’ambiente puritano dell’epoca. La versione che propone Plana è una lettura fedele della tragedia strindberghiana, restituita dal punto di vista estetico e drammaturgico di una regia audace e contemporanea, dal ritmo intenso e dai toni distinti, dove a emergere è la natura irriducibile, bellica e ripetitiva del desiderio e della sua legge, che muove e indirizza il corso delle vicende della storia. Ambientata in una notte d’estate di fine Ottocento in una cittadina svedese, racconta la vicenda di Julie, ragazza venticinquenne figlia di un conte, che decide di passare la serata di San Giovanni alla festa della servitù, mentre il padre è assente. Il testo affronta la doppia tematica dell’interazione tra classi sociali differenti e tra il genere maschile e quello femminile. Ho pensato, dichiara Cristián Plana, di collocare la tragedia naturalistica scritta da Strindberg alla fine del XIX secolo, in uno spazio fisico e sonoro capace di trascendere l’epoca originale e di portare le azioni sceniche all’estremo della letteralità, nel tentativo di rendere la storia più contemporanea. Ho già diretto quest’opera, in un altro contesto geografico e culturale, senza cambiare nulla dell’originale, anzi, concentrandomi proprio sulla sua verbosità. Ma per questa edizione italiana ho sentito la necessità di una rilettura che partisse da un altro punto di vista, più esplicito e inquietante: ho deciso di tagliare alcune parti per tradurle scenicamente e realizzare una sorta di “perversione” dell’originale; azioni e immagini eruttano, così, dal profondo del testo, costringendo i personaggi a parlare e ad agire come da un corpo infestato, violentato, esausto, con menti alienate ed eccessive. Ho pensato che tutti i desideri pulsanti, durante questa diabolica festa di San Giovanni, dovessero essere esplicitati dagli attori e materializzati nello spazio scenico che li contiene, la cui verticalità, oltre a produrre vertigini in coloro che lo abitano, racconta simbolicamente la caduta, la sovversione e il senso tragico. La signorina Giulia sono io, disse a suo tempo Strindberg. Questa versione prende come riferimento parte della biografia dell’autore, la sua particolare relazione con la parola, il suo lucido ritratto del mondo femminile, l’impulso improvvisato e tempestoso della sua scrittura drammatica e, soprattutto, le sue crisi paranoiche e i deliri di persecuzione che si specchiano nello stato di eroina tragica di Giulia. Un personaggio nel quale l’autore s’immerge come in un esperimento scientifico, il cui mondo interiore non gli appartiene, ma che tenta di abitare come se, al contrario, gli fosse familiare; un mondo che appare ai suoi occhi ogni volta più strano e sinistro, tanto da non poterne più uscire, bloccato in uno stato catatonico e da indemoniato, intrappolato in un incubo dove è entrato volontariamente.