Pensioni e Damiano: ‘La reversibilità sparisca dalla delega’

‘Non posso pensare che affidiamo a una delega in bianco al governo un principio di razionalizzazione su pensioni di reversibilita’ e altre cose che valgono miliardi. Vorrei discuterlo per bene dentro il sistema previdenziale’, ha detto Cesare Damiano (Pd), presidente della Commissione Lavoro della Camera, intervenendo ad Agora’ (RaiTre). Il testo della delega,   ha precisato Damiano, dice che si interviene con un principio di razionalizzazione anche sulle prestazioni previdenziali. Se non e’ vero che il governo vuole intervenire, si cancelli quella frase. Si insiste molto sulle pensioni di reversibilità pero’ si parla anche di assegno al sociale, integrazione al minimo, quindi di un complesso. Io dico che, se si vuole fare un intervento, lo si debba fare separando il tema dell’assistenza da quello della previdenza. Le pensioni non possono essere una specie di pozzo di San Patrizio del governo e Renzi e Poletti sanno benissimo che prima o poi bisognera’ affrontare il tema della flessibilita’ in uscita. Si cancelli dalla delega ogni riferimento alla previdenza e se ne discuta in Parlamento riga per riga. Per quanto mi riguarda sono contrario a finanziare la lotta alla poverta’ con i soldi delle pensioni. Si tratta semplicemente di cancellare dall’articolo 1, comma 1, lettera B, le seguenti parole: ‘Nonchè di altre prestazioni anche di natura previdenziale’. Fatto questo, saremo assolutamente tranquilli. Anche perche’, faccio notare, nella parte tecnica del provvedimento si precisa che le principali ‘prestazioni di natura assistenziale ovvero di natura previdenziale ma comunque sottoposte alla prova dei mezzi sono: ‘Assegno sociale, pensione di reversibilita’, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre o piu’ figli minori’. Quindi e’ evidente che nelle intenzioni c’e’ quella di agire anche sulle pensioni di reversibilità e se c’e’ questo equivoco si deve dissipare. Leggendo la delega contenuta nel provvedimento presentato dal Governo si capisce che le pensioni di reversibilità diventano «prestazione assistenziale». E che per poterne beneficiare in futuro bisognerà non superare certi parametri economici. Già oggi è così, ma il governo intende ancorare la reversibilità (ma anche assegno sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre figli minori) al reddito calcolato con il meccanismo dell’Isee. Che ridurrà non di poco la platea di chi potrà fruire di questi assegni. Già ora l’importo del trattamento pensionistico complessivamente attribuibile al coniuge superstite e al coniuge divorziato è pari al 60% della pensione del coniuge defunto; il coniuge con un figlio prende l’80%; il coniuge con 2 o più figli prende il 100%. Nel caso il diritto al trattamento previdenziale ricada su più parenti, la somma delle diverse aliquote non può comunque superare il 100% della pensione. Se il superstite che percepisce la pensione possiede altri redditi, la pensione viene ridotta percentualmente a seconda del reddito. Nel 2015, sono state erogate 183mila pensioni di reversibilità per un importo medio di 650 euro. In futuro invece, attraverso l’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, si terrà conto anche di eventuali patrimoni finanziari e immobiliari. In altre parole, la vedova che ha fatto per una vita la casalinga, ma cui il coniuge ha lasciato in eredità qualche immobile e un pacchetto di Btp, rischia di dover dire addio all’assegno. In teoria tutto dipenderebbe da dove verrà posta l’asticella del parametro Isee. Nell’articolato due volte si parla di ‘razionalizzazione delle prestazioni’, termine inquietante perché finora, nella prassi del governo renziano, ha significato tagli tout court. Ed è vero anche che finora la pensione di reversibilità era appunto una misura previdenziale, dovuta perché costruita con i contributi versati dal lavoratore nel corso degli anni; d’ora in poi sarà assistenziala, e correlata ai mezzi di cui dispone il beneficiario.

 

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