Ha conquistato la luce dei riflettori da poco tempo, ma il proteasoma è già candidato a essere in prossimo bersaglio nella lotta al cancro. Il proteasoma è il sistema che la cellula usa normalmente per smaltire i rifiuti proteici e per rinnovare le proteine. I proteasomi agiscono sulle proteine che sono state marcate specificatamente per la degradazione attraverso l’attacco di un altra proteina detta ubiquitina. I segnali di degradazione vengono generalmente tenuti nascosti in una proteina propriamente ripiegata, ma diventano accessibili quando la proteina assume una diversa conformazione o si denatura. Quando questi segnali sono esposti, gli enzimi aggiungono un’altra piccola proteina al sito bersaglio, detta ubiquitina. La proteina ubiquitinata viene poi riconosciuta dalla proteina recettore del proteasoma e la proteina bersaglio viene attaccato dal proteasoma e digerita. Senza questo apparato la cellula non sopravvive; neanche quella tumorale, che non può farne a meno per continuare a moltiplicarsi, per far fronte agli stress ai quali è sottoposta e per liberarsi di molte delle molecole che agiscono da freno alla trasformazione maligna. Farmaci che hanno come bersaglio il proteasoma ce ne sono già in commercio e altri sono nelle ultime fasi di sviluppo, ma spesso, il tumore può resistere al trattamento: può accadere, infatti, che mentre il principio attivo blocca il funzionamento del proteasoma, per tutta risposta la cellula tumorale stimola al massimo l’espressione dei geni che codificano per le diverse componenti di questo apparato molecolare, in modo da ripristinarne o addirittura potenziarne l’attività, frustrando gli sforzi terapeutici. Un meccanismo complesso questo e finora non del tutto compreso. I ricercatori hanno infatti osservato che quando un tumore ha mutazioni nel gene TP53, è proprio il prodotto di questo gene alterato (la proteina p53 mutata) a controllare e attivare in maniera abnorme l’espressione dei geni del proteasoma. La proteina p53 è una delle più indagate nella ricerca oncologica: nella sua forma ‘buona’ funziona da freno molecolare della formazione e progressione dei tumori, nelle sue forme mutate, al contrario, accelera la trasformazione maligna e stimolano la formazione delle metastasi. Non è un caso allora che i ricercatori abbiano individuato in p53 mutante un elemento fondamentale nel determinare la capacità dei tumori, in particolare dei tumori al seno cosiddetti triplo negativi, di resistere alle terapie mirate contro il proteasoma. Il passo dalla scoperta del meccanismo di base alla ricerca più applicativa è stato breve, spiega il coordinatore dello studio Giannino Del Sal, docente di Biologia Applicata all’Università di Trieste dove è anche direttore del Dipartimento di Scienze della Vita: ‘Abbiamo subito provato a trattare le cellule di tumore al seno triplo negativo con i farmaci contro il proteasoma, bloccando in contemporanea anche l’alleato p53 mutante con un farmaco mirato, attualmente in fase di sperimentazione clinica. La combinazione si è rivelata molto efficace: una volta eliminato p53 mutante, le cellule tumorali perdono la capacità di reagire all’attacco al proteasoma e si bloccano. La terapia combinata, quindi, può davvero rappresentare un’importante opportunità terapeutica per i tumori che hanno p53 mutante’.
Clementina Viscardi