Fa discutere l’appoggio dell’ambasciatore Usa al ‘si’ al referendum Costituzionale. Il ‘no’ al referendum sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia, dice l’ambasciatore Usa in Italia John Phillips intervenendo ad un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato a Roma all’istituto di studi americani: ‘Il referendum è una decisione italiana ma il Paese deve garantire stabilità politica. Sessantatrè governi in 63 anni non danno garanzia. Il voto sulle riforme costituzionali offre una speranza sulla stabilità di governo per attrarre gli investitori. Renzi ha svolto un compito importante ed è considerato con grandissima stima da Obama, che apprezza la sua leadership’. Ira della Lega e di Forza Italia per l’ingerenza statunitense nella politica italiana. Il signor ambasciatore Usa si faccia gli affari suoi e non interferisca, dice Matteo Salvini a caldo, come troppe volte è già accaduto in passato, nelle vicende interne italiane. Spero che a novembre vinca Trump che ha già garantito che si occuperà delle questioni di casa sua. Se a votare sì al referendum sono i massoni, i banchieri e i poteri forti allora ancora più convintamente ci schieriamo per il no, ovvero per la libertà e il bene degli italiani. ‘La presa di posizione dell’ambasciatore John R. Phillips sul referendum italiano è un palese infortunio per la diplomazia degli Usa e anche controproducente per la causa sbagliata che sostiene. Da sempre amico degli Stati Uniti d’America e personalmente estimatore di Phillps, non posso che invitarlo a spiegare il suo sostegno alla riforma renziana davanti ai senatori degli Stati Uniti, il cui voto gli è stato indispensabile per assumere la sua attuale carica. Alcuni suoi colleghi hanno atteso anche due anni per entrare in servizio perché mancava il voto dei Cento Re, come vengono chiamati i senatori nel suo paese. Lo stesso Phillips il 30 luglio 2013, ebbe l’onore di presentarsi davanti alla Commissione Esteri del Senato Usa, rispondere alle domande e sottoporsi al voto, prima della commissione stessa, poi dell’intera assemblea. Quella era un’ottima occasione per dichiarare che un Senato degno di tal nome rappresenta un passo indietro, o che il sistema di ‘checks and balances’, controlli e bilanciamenti, che viene insegnato in tutte le scuole americane come fondamento della democrazia è un intoppo che ostacola gli investimenti. Risulta invece che gli Stati Uniti, che hanno, come dicono i manuali ufficiali del Congresso, un bicameralismo perfetto, un Senato fortissimo, senatori che hanno ciascuno staff più grandi e costosi di quello che ha il nostro presidente del Senato, e poteri locali incomparabilmente più autonomi di quelli italiani anche prima della riforma neocentralista, attraggono investimenti esteri venti volte più grandi dell’Italia pur avendo un’economia ‘solo’ dieci volte più grande. Agli investitori interessano leggi ben fatte e che non cambino tutti i giorni per le esigenze propagandistiche del capo del governo: questa è la stabilità che serve. Se non fosse così nessuno investirebbe negli Usa, dove per la maggior parte del tempo il presidente non ha la maggioranza a Camera e Senato. E se la stabilità fosse l’unico metro la Bielorussia dovrebbe essere al numero uno in Europa. Ogni legislatura presenta un disegno di legge per introdurre in Italia il sistema americano, ma la riforma di Renzi è proprio l’opposto: il popolo non sceglie e il governo è senza controlli e bilanciamenti. Penso che l’ambasciatore sia stato male informato perché se qualcuno oltre oceano pensa che la democrazia vada bene solo per loro e gli altri devono accontentarsi della sua contraffazione, va contro i principi stabiliti proprio nella Dichiarazione di indipendenza del 1776 alla quale tante volte si è richiamato Phillips nei suoi efficaci discorsi ufficiali’, afferma il senatore Lucio Malan. ‘Io vorrei relativizzare queste parole: si tratta solo di un consiglio di un paese amico, un tratto di riflessione da non mettere al centro della discussione’, così il guardasigilli Andrea Orlando commenta le parole dell’ambasciatore Usa in Italia a favore del sì al referendum. Il popolo italiano, aggiunge parlando alla Festa dell’Unità di Roma, è abbastanza maturo da tenere conto di queste parole nella giusta misura. Intanto arriva anche l’allarme di Fitch sulle turbolenze che potrebbero seguire a una eventuale vittoria del no. Ogni turbolenza politica o problemi nel settore bancario che si possano ripercuotere sull’economia reale o sul debito pubblico, potrebbe portare a un intervento negativo sul rating dell’Italia. Lo ha affermato il responsabile rating sovrani per Europa Medio Oriente di Fitch, Edward Parker, a una conferenza a Londra, secondo quanto riferisce Bloomberg: ‘Se ci fosse un voto ‘no’, lo vedremmo come uno shock negativo per l’economia e il merito di credito italiano’, ha dichiarato, come si legge sul sito online di Reuters. Phillips ha ricordato che il presidente del Consiglio andrà negli Stati Uniti il 18 ottobre prossimo in occasione della cena di Stato offerta alla Casa Bianca dal presidente Usa Barack Obama.
Roberto Cristiano