Silvio Berlusconi e Romano Prodi da fondatori dei rispettivi schieramenti a spettatori non protagonisti.
Il fatto che i protagonisti politici di un ventennio della nostra Repubblica siano marginali o del tutto,volutamente, assenti nella contesa, rende evidente che i pilastri su cui si fondarono le rispettive leadership non ci sono più. Perciò risulta ancora più difficile il tentativo che Matteo Renzi, nella veste di segretario del Pd, si accinge a mettere in campo: quello di promuovere una serie di incontri bilaterali con gli altri partiti, per sondare la volontà politica di modificare insieme la legge elettorale. E questo diventa per il segretario una vera impresa titanica. Ma quand’anche ci fosse la volontà politica, le forze in campo non sembrano attrezzate per chiudere un eventuale accordo per poi gestirlo in Parlamento. E non solo perché sono logorate da guerre intestine, ma soprattutto per il timore di esporsi agli attacchi di quelle forze populiste che li additerebbero come responsabili di un muovo”inciucio”. Per quanto su posizioni distinte ed opposte tra loro, Berlusconi e Prodi sembrano non volersi esporre per non finire nel tritacarne della contesa elettorale/referendaria. “Ho ben presente l’impianto della riforma ma nemmeno sotto tortura dirò come la penso”. Con questa sua dichiarazione, il Professore non si è voluto esprimere sul quesito referendario, e non facendo conoscere la sua posizione ha privato l’elettorato del centrosinistra di un punto di riferimento.Ma soprattutto, tra le righe, fa sapere che non ne vuole sapere del Pd e delle sue guerre intestine. Un silenzio così autorevole è la rappresentazione reale di un Pd ridotto in macerie. Da quando Renzi si è insediato a Palazzo Chigi, il partito si è trovato diviso su tutto: sulla politica economica, su quella giudiziaria, sul lavoro e la scuola ed infine sulla legge elettorale e sull’idea di una nuova Costituzione. All’interno dello stesso partito si apprestano a scontrarsi, il 4 dicembre, senza remore nè rispetto per il proprio elettorato. Sul versante del ” fu centrodestra”, si teme l’assenza del Cavaliere e la sua malcelata intenzione di non impegnarsi nell’agone elettorale. Oltre alla salute cagionevole, ci sarebbero precise ragioni politiche che lo spingerebbero a tenersi lontano ed evitare, quindi, un ritorno imminente sulla scena politica. Anche perché Berlusconi dovrebbe spiegare le ragioni di un eventuale “NO” dopo che ha sostento la legge di riforma fino all’ultimo. Senza contare che quasi la metà dell’elettorato di Forza Italia è pronto a votare “SI” alle modifiche costituzionali. Molti dirigenti si sforzano di chiamare al telefono quelli che furono i sostenitori di FI, ma la maggioranza o non risponde o si nasconde dietro agli impegni di lavoro. E anche la mobilitazione per il “NO” sembra non raccogliere molti consensi. Quindi se ne deduce che i due partiti, pur conservando i loro consensi, senza Prodi e Berlusconi non hanno più la forza di un tempo.