Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto di previdenza non ha approvato il bilancio preventivo per il 2017, non rinvenendo l’attuazione degli indirizzi dati ed evidenziando carenze di risposte su punti rilevanti, come sui crediti contributivi ed il patrimonio immobiliare. La bocciatura, inevitabilmente, ha fatto scoppiare di nuovo la polemica sugli stipendi d’oro dei dirigenti Inps che, nonostante i problemi dell’ente continuano a intascare retribuzioni fuori dalla realtà. I sindacati, Cisl e Cgil in testa, si mettono di traverso denunciando carenze di risposte sui punti rilevanti, oggetto di osservazioni anche da parte del Collegio dei sindaci e da ultimo del ministero del Lavoro, che non consentono al Civ di dare un giudizio positivo.
La metà o quasi dei super burocrati dell’Inps guadagna 239mila 800 euro, appena 200 euro sotto il tetto massimo di legge dei 240mila. I file con le retribuzioni dei manager pubblici dell’istituto di Via Ciro il Grande sono rimasti fermi ai dati relativi al 2014. Per tutto il biennio 2015-’16 solo qualche settimana fa, sono stati inseriti quelli del 2015, con oltre un anno di ritardo. Degli emolumenti 2016 non si sa niente.
I dirigenti generali dell’Inps se la passano più che bene e si piazzano tra le prime posizioni nella speciale classifica dei super guadagni dei grand commis pubblici. Risulta di tutta evidenza, infatti, che se il tetto massimo delle retribuzioni dei manager pubblici è fissato a 240 mila euro l’anno, come per il presidente della Repubblica e il primo presidente della Corte di Cassazione, la maggior parte dei dirigenti generali si trova sotto la soglia di appena qualche centinaio di euro. E non è detto che non la superi, perché appare complicato stabilire che cosa imputare a un anno e che cosa a un altro. Forse sarebbe stato più utile e trasparente pubblicare la dichiarazione dei redditi di ognuno.
Comunque, mettendo insieme tutte le voci, parte fissa tabellare, retribuzione di posizione fissa e variabile, premio di risultato, scopriamo che nel 2015 risultavano in servizio ben 44 dirigenti di primo livello, con una retribuzione complessiva annua ampiamente sopra i 210mila euro a testa, con circa venti recordman a quasi 240 mila euro: da Giulio Blandamura a Vincenzo Caridi, da Rosanna Casella ad Antonello Crudo, da Vincenzo Damato ad Antonio De Luca, da Cristina Deidda a Maurizio Manente, da Flavio Marica a Fabrizio Ottavi, da Luca Sabatini a Sergio Saltalamacchia, da Maria Sciarrino a Gabriele Uselli e altri. Ad appena mille euro in meno si trovavano Giovanni Di Monde, Giuliano Quattrone e Gabriella Di Michele, che a febbraio scorso è stata nominata direttore generale dell’Istituto.
Se dalla dirigenza di prima fascia si passa alla seconda, le retribuzioni restano comunque su livelli elevati. Su oltre 450 dirigenti di questa categoria, tutti si portano a casa stipendi ampiamente oltre i 100mila, con una quota rilevante che oscilla tra i 130 e i 150.
Alla Civ non è sfuggito il recente squilibrio dei conti con i patrimonio che, per la prima volta dalla fondazione dell’ente, è andato in rosso. Lo Stato coprirà gli ammanchi, ma ciò non significa che le criticità possono essere considerate superate. Un andamento negativo del patrimonio deve essere oggetto di adeguata ed immediata attenzione. La soluzione prospettata ricade sempre sui cittadini. ‘Rivediamo le baby pensioni’, propone il presidente dell’Inps Tito Boeri, ma nessuno osserva cosa accade all’interno dell’ente dove, la riforma, quella che prevedeva un tetto massimo per gli stipendi, non sembra aver cambiato di molto la situazione.
Naomi Sally Santangelo