La crisi del Pd e la scissione

Il renzismo è in crisi e con il esso il modello di partito costruito dall’ex premier, segnato da un flebile segno programmatico, incentrato sulle idee di mercato, giovanilismo e di innovazione, e da un’accentuata visione oligarchica della politica. Un modello sconfitto pesantemente nel referendum costituzionale del 4 dicembre scorso e politicamente in crisi, al netto delle inchieste giudiziarie sul ‘cerchio magico’ di Renzi.

Da questa situazione si sono originate le condizioni per la nascita di una nuova formazione politica, che si colloca a sinistra del Pd, i Democratici & Progressisti, mentre in precedenza si era costituita Sinistra Italiana.

Il Pd ha raggiunto la scissione ed è difficile non ricordare  il  ‘divorzio’ che si celebrò a Livorno nel 1921, proprio sull’onda di quello che era avvenuto in Russia, con Lenin che lanciava anatemi contro i socialisti riformisti e Antonio Gramsci che accusava Turati, Modigliani e Buozzi di essere solo dei ‘Mandarini’.

 La comunicazione vive di suggestioni ma il riferimento storico non ha evidentemente senso. Intanto perché in quel caso c’era un evento epocale  che spingeva versa quella evoluzione; in secondo luogo perché quella era una scissione che riguardava un partito ‘propriamente’ e complessivamente di sinistra: con numerose anime, ma di sinistra, con un riferimento ideologico unitario.

E’ difficile parlare di partito di sinistra essendo il Pd, per dichiarazione all’atto di nascita, una forza politica di centrosinistra. Non era stato l’incontro tra due visioni del mondo che facevano capo allo stesso complesso di valori, che avevano un codice genetico se non uguale almeno simile; erano divisi alla nascita pur puntando a una complicata unificazione di linguaggi e sensibilità.

Era la reinterpretazione del compromesso storico,  declassato a  fatto di cronaca. In Germania Spd e Csu-Cdu fanno la grande coalizione non un grande partito e stando insieme finiscono per danneggiarsi.

La fusione fredda ha dato forza attrattiva all’area più moderata che riesce a collegare trasversalmente settori diversi della società sfruttando la crisi del berlusconismo,  ma ha tarpato le ali a quelle forze che proprio in un momento di crisi economica avrebbero dovuto raccogliere consensi nelle aree più impoverite, insoddisfatte e preoccupate.

La realtà politica non aveva una dimensione sociale, perchè era solo l’abbraccio utilitaristico di mondi che nella dinamica politica potevano anche sfiorarsi attraverso le coalizioni di governo,  ma mai integrarsi perché  alcuni possono guardare con soddisfazione all’alleanza con Angelino Alfano e, semmai, con Verdini, ma tanti altri non riescono a considerare ‘nemici’ Scotto, Vendola e Landini.

Ma nessun ‘filo rosso’ all’interno del Pd riesce a tenere insieme storie diverse. Nel partito e  nel suo elettorato.

Il 3 febbraio del 1991 nasce il Pds, da cui si stacca Rifondazione comunista nello stesso anno e da quest’ultima, nel 1998, il Partito dei comunisti italiani guidato da Cossutta, da sempre sostenitore della linea sovietista e storico antagonista del revisionismo di Berlinguer e del compromesso storico.

Tutte queste rotture  nel campo della sinistra italiana hanno avuto sempre un aspetto: la contrapposizione ideologica e programmatica, ovvero la dialettica quasi irriducibile tra diverse concezioni della politica e della società nel divenire storico.

Roberto Cristiano

 

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