A sei anni dalla triplice catastrofe di Fukushima proseguono senza sosta gli sforzi del governo giapponese per il piano di ricostruzione. Ma i costi sono fin qui raddoppiati e resta lontana la demolizione della centrale nucleare duramente colpita dal terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011, costato la vita a circa 18.000 persone. Inoltre, si registrano non pochi problemi sugli ‘sfollati volontari’, che non riceveranno altri sussidi perché considerati non più a rischio.
Sul fronte della bonifica, il livello di radioattività attorno ai reattori 1, 2 e 3 della centrale atomica Daichi è ancora elevato, fino a 300 microsieverts all’ora, e la parete di ghiaccio progettata per isolare le falde acquifere dal liquido contaminato non funziona ancora a pieno regime. Dopo aver continuato a raffreddare la centrale, iniettando centinaia di tonnellate di acqua nelle vasche di contenimento, la società di gestione dell’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), riconosce che il lavoro più delicato inizia adesso: l’estrazione del magma radioattivo, ossia il prodotto della fusione del nocciolo del reattore. I lavori di demolizione della centrale, secondo i programmi, non finiranno prima del decennio 2041-2051. La revisione al rialzo delle spese prodotte dalla catastrofe hanno costretto il governo di Tokyo a estendere il controllo della Tepco per un periodo più lungo del previsto. Le stime per smantellare la centrale, le operazioni di bonifica e gli indennizzi alla popolazione colpita dal disastro, sono quasi raddoppiati, superando la cifra di 188 miliardi di dollari, l’equivalente di 178 miliardi di euro.
Dopo 6 anni l’ordine di evacuazione all’interno della prefettura di Fukushima – la terza più grande del Giappone – riguarda ancora il 5% del territorio, ha indicato il ministro delle Ricostruzione Masahiro Imamura, un’estensione di 726 chilometri quadrati. I dati aggiornati al gennaio 2016 riscontrano un numero di sfollati pari a 127.000, da un picco di 470 mila. Alla fine dell’anno scorso le persone sgombrate che vivevano in alloggi temporanei ammontavano a 98.400, mentre gli ‘sfollati volontari’ dalla prefettura di Fukushima erano 18.000 Un termine quest’ultimo, che ha inasprito il dibattito tra l’opinione pubblica e l’apparato statale. Dal marzo 2017 – infatti – i residenti che non intendono tornare nei paesi localizzati attorno alla centrale nucleare, non più considerati a rischio dal governo, non riceveranno più i sussidi. Molte delle persone – perlopiù madri con bambini – già separate dai mariti che invece hanno deciso di rimanere a Fukushima per motivi di lavoro – si troveranno ad affrontare ulteriori spese. Le incomprensioni sulla situazione critica degli ‘sfollati volontari’ hanno dato origine recentemente a una serie di casi di bullismo che riguardano prevalentemente i bambini delle famiglie di sgombrati. Parte della società ritiene inoltre che gli ‘sfollati volontari’ abbiano ricevuto un compenso sufficientemente equo dalla Tepco, oltre ai vari indennizzi per l’incidente.
Un’altra questione che preoccupa le associazioni di attivisti, sono i casi di ‘kodokushi’, le morti in solitudine delle persone anziane negli alloggi temporanei. Dal marzo 2011, in base ai dati della polizia, sono state 230 le persone vittime di abbandono, oltre la metà delle quali con oltre 65 anni di età. Un sondaggio del canale pubblico Nhk evidenzia come il 60% degli interpellati tra i sopravvissuti e gli sfollati, accusi problemi psicologici legati a strascichi depressivi e casi di insonnia prolungata, oltre a sintomi di affaticamento fisico e la costante assunzione di medicinali. Secondo il professore Reo Kimura dell’Università di Hyogo, della facoltà di Scienze Umane e Ambiente, i sopravvissuti che non sono stati in grado di ritornare alle proprie abitazioni, o capaci di mettere in ordine le proprie esistenze, continueranno a vivere con un senso di frustrazione e isolamento. Da qui la necessità per il governo e le associazioni di volontari di occuparsi dei singoli casi su base individuale.