La Gran Bretagna e’ pronta a imboccare la strada dell’uscita dall’Ue, ma la Scozia non ci sta e si aggrappa all’idea di poter uscire semmai dal regno ipotizzando un referendum bis sulla secessione fra il 2018 e il 2019. E’ un gioco di specchi quello che si consuma in un giorno storico per l’isola, segnato dall’ultimo giro di giostra parlamentare prima del grande ‘passo’ verso la Brexit: una sfida da vincere per il governo Tory di Londra; un salto nel buio da evitare per quello indipendentista d’Edimburgo. Le eredi d’una tenzone secolare che affonda le sue radici nel tragico duello fra le sovrane Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Stuarda di Scozia si chiamano oggi Theresa May e Nicola Sturgeon.
La prima ha chiuso stasera la sua partita a Westminster, dopo un mesetto di dibattito e di ping pong fra Camera Bassa e Camera Alta che in sostanza non ha cambiato nulla. E porta a casa una legge, ripristinata dalla maggioranza ai Comuni nel testo gradito all’esecutivo, con l’abrogazione degli emendamenti dei Lord sulle garanzie a priori dei diritti dei cittadini Ue e su una sorta potere di veto del parlamento sull’esito del negoziato, che le permette d’avviare senza vincoli di sorta il percorso formale per l’addio al club dai 28 entro due anni.
In nottata anche i Lord si sono allineati e da domani ogni momento sarà buono per far scattare i negoziati notificando l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Le previsioni sono per l’ultima settimana di marzo, in tempo per la scadenza indicata con largo anticipo e tono perentorio dalla signora primo ministro di Sua Maestà: ancora una dama inglese di ferro nel destino di Bruxelles, sulle orme di Margaret Thatcher.
Senonchè, a rubare la scena a Theresa ci ha pensato Nicola, sua nemesi scozzese. La quale, esaurito il dialogo fatto di sorrisi a denti stretti tentato all’indomani della consultazione referendaria pro Brexit del 23 giugno nella quale la Scozia come l’Irlanda del Nord aveva votato a maggioranza Remain in controtendenza col Paese nel suo complesso e con l’Inghilterra (Londra esclusa), ha deciso di non più potersi fidare.
E ha scelto proprio la giornata di oggi per tagliare i ponti. La first minister di Edimburgo, leader dei nazionalisti dell’Snp, ha cosi’ rilanciato la battaglia per l’indipendenza, dopo il referendum perduto, di misura, ma non troppo, nel settembre 2014. Vestita con un tailleur demodè color rosso sangue, si è presentata alle telecamere per annunciare lo start la settimana prossima di fronte all’assemblea parlamentare scozzese dell’iter di un nuovo voto popolare.
Il problema per la Scozia è tuttavia d’ordine normativo. Un altro referendum richiede infatti il placet del parlamento di Westminster, a cui spetta l’ultima parola e al quale la leader dell’Snp (partito rimasto finora scrupolosamente entro i limiti della legalità costituzionale) ha ammesso di doversi rivolgere.
E a Londra la risposta stavolta è no, almeno per ora. Il governo lo ha ribadito a stretto giro: un nuovo referendum sarebbe divisivo e produrrebbe enorme incertezza economica per tutta la Gran Bretagna, ha tagliato corto una portavoce. Fra le altre incognite della transizione verso la Brexit.