Quando parliamo di terrorismo e di azioni correlate parliamo di azioni svolte per spargere il terrore fra le popolazioni civili. Non è una novità, visto che rispecchia il concetto di terrorismo usato dall’antichità per sfibrare la volontà di combattere dei popoli nemici.
Ricordiamo, per esempio, le orde mongole guidate da Gengis Kan che uccidevano tutti gli abitanti delle città che facevano loro resistenza; in tempi più recenti, nella Seconda Guerra Mondiale, l’arma aerea fu ampiamente usata al fine di terrorizzare le popolazioni; dapprima furono i Tedeschi, prima in Spagna, e poi con i bombardamenti sull’Inghilterra. In seguito furono gli Americani che usarono i bombardamenti detti ‘a tappeto’, ed è famoso il caso di Dresda, centro senza alcun valore militare completamente distrutta con la morte di almeno 200.000 persone.
Il terrorismo è attualmente contraddistinto da azioni di gruppi irregolari che uccidono prevalentemente i civili. Un fenomeno estremamente complesso al quale non sempre corrisponde una definizione soddisfacente e universalmente accettabile, ma che in linea generale corrisponde a quel complesso di attività criminose compiute per perseguire finalità ideologiche o politiche, e tali attività, specialmente quando hanno motivazioni politiche, non si esauriscono nell’ambito di un singolo Stato, ma acquistano rilevanza internazionale in quanto lo scopo, i mezzi, il luogo, l’autore, la vittima, la preparazione, la consumazione e gli effetti riguardano Paesi differenti.
L’evoluzione di un nuovo terrorismo internazionale è il frutto di una nuova strategia del terrore mirata a stravolgere gli incerti equilibri internazionali. La mondializzazione ha tracciato nuove forme mediali di comunicazione e di ciò il nuovo terrorismo internazionale ha potuto trarne benefici mutando le proprie strategie. I mutamenti dovuti ai nuovi scenari internazionali tracciano un nuovo approccio al concetto della sicurezza e ridisegnano i ruoli dell’intelligence.
I nuovi approcci alla lotta al terrorismo internazionale devono confrontarsi con il nuovo ordine mondiale e con il radicale mutamento del fenomeno. Occorre perciò ridefinire le politiche internazionali della lotta al terrorismo ed identificare i nuovi obiettivi che deve affrontare oggi la comunità internazionale.
Il rischio di nuovi attentati terroristici si può ricondurre oggi agli approvvigionamenti, l’energia e le forniture energetiche sono il motore dell’economia e la presenza di ricchi giacimenti in paesi dove il concetto di democrazia e stabilità politica non è ben definito, tracciano sicuramente un rischio più alto.
Lo sviluppo di nuove forme di terrorismo in Europa trae le sue radici da meccanismi culturali che hanno prodotto uno scontro reale tra gruppi armati. Oggi, quindi, si avverte da un lato una maggiore disponibilità del cittadino verso le strutture di intelligence, con una sostanziale apertura ad un modello di valutazione non più preconcetto e stereotipato ma, anzi, caratterizzato da una timorosa forma di riconoscenza.
Dall’altro è sempre più evidente la necessità inversa di contatto e sinergia da parte dell’intelligence in direzione del pubblico, come una sorta di garanzia dell’operato ma anche per poter disporre di quelle nuove forme di professionalità richieste dalle circostanze, e non sempre reperibili all’interno della Pubblica Amministrazione.
Non è possibile, in sostanza, perdere una preziosa occasione atta a permettere una sensibile crescita nel rapporto tra Stato e cittadino, in funzione di un percorso di sviluppo potenzialmente colmo di elementi di positiva sinergia. Si potrebbe, anzi, si dovrebbe andare oltre la semplice crescita puntando decisamente su un processo di trasformazione almeno nel rapporto tra servizi segreti e opinione pubblica.
Non sussistono preclusioni di particolare natura per impedire che la nostra intelligence si apra al pubblico, senza con ciò svelare alcunché di segreto e riservato, offrendo un’immagine concreta e trasparente circa i compiti che è chiamata ad assolvere.
Un passo di tale natura anzi, favorirebbe enormemente quel necessario, e doveroso, processo di trasformazione dell’immagine dei servizi segreti che tanto inopportunamente si è lasciato sviluppare, e maturare, nel corso di gran parte della storia repubblicana e democratica del nostro paese e degli altri paesi occidentali.
Per parlare nello specifico dell’Italia, ciò di cui il nostro paese ha realmente necessità non sono dei nuovi servizi segreti capaci ed efficienti. Quelli, fortunatamente, li abbiamo sempre avuti. Oggi è necessario operare su più livelli per sviluppare una vera e propria cultura dell’intelligence; una cultura che sia capace di dimostrare non solo la validità del principio che tali Servizi hanno istituito ma che, soprattutto, ne illustri le modalità operative e renda tangibilmente evidente come gli stessi siano un insostituibile strumento dell’interesse e della sicurezza nazionale.
Per il perseguimento di questo fine sono essenziali due condizioni. Da una parte un attivo e convinto coinvolgimento delle strutture di Informazione e Sicurezza, e quindi delle Istituzioni, in direzione del dialogo e del rapporto con l’esterno, superando l’anacronistico concetto del ‘tutto quanto concerne l’intelligence resti all’interno delle strutture stesse’.
Dall’altra è necessario che il settore della ricerca e dell’accademia sviluppino programmi e progetti di studio e ricerca che, anche in questo caso, demoliscano l’individualismo ed il presenzialismo degli ‘esperti di settore’, in direzione, al contrario di una professionalità diffusa, specifica e settoriale capace di dialogare e cooperare per il perseguimento di risultati concreti.
La realtà dei fatti, tuttavia, ci offre un quadro ancor oggi diametralmente opposto. Per la determinazione e l’affermazione di una cultura dell’intelligence è quindi opportuno innescare un processo di sinergie tra Istituzioni e Privati che, con gradualità, favorisca l’emergere dei centri di eccellenza, anche individuali o sporadici, lungo un percorso di comune interesse e dalle solide basi. Privati in grado di supportare le attività dell’intelligence istituzionale, chiaramente con particolare e speciale abilitazione alle attività informative a partire dal territorio cittadino, monitorandolo e raccogliendo informazioni per la prevenzione.
È quindi opportuno, e probabilmente improcrastinabile, estendere il dibattito in materia in ogni ambito della società civile, favorendo la comprensione del ruolo e delle metodologie senza timore di rivelare improbabili segreti da parte delle Istituzioni, e senza il timore di perdere improbabili posizioni di notorietà e prestigio da parte della cerchia esterna degli addetti ai lavori.
Gennaro Ruggiero