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‘La Turchia ha preso una decisione storica di cambiamento e trasformazione che tutti devono rispettare, compresi i Paesi che sono nostri alleati. La Turchia ha preso la sua decisione con quasi 25 milioni di cittadini che hanno votato sì, con quasi 1,3 milioni di scarto. È facile difendere lo status quo, ma molto più difficile cambiare. È la vittoria di tutta la nazione, compresi i nostri concittadini che vivono all’estero. Questi risultati avvieranno un nuovo processo per il nostro Paese’.
I cambiamenti radicali previsti dalla vittoria del referendum presidenzialista entreranno in vigore solo a partire dalla prossima legislatura, vale a dire (lo prevede il 17esimo emendamento della riforma) dal 3 novembre 2019, data delle prossime elezioni legislative e presidenziali. Fino a quella data la Turchia resta a tutti gli effetti una repubblica parlamentare in cui il presidente convive con un premier, al momento, Binali Yildirim (Akp) ed un governo. Quel che è però certo, al di là dei tempi in cui la riforma verrà attuata, è che il presidente ha allungato il proprio orizzonte politico almeno fino al 2029, con la possibilità, in caso di scioglimento anticipato della seconda legislatura, di arrivare al 2034.
Considerando che Erdogan è al potere come premier dal 2003 si configura uno scenario in cui anche Mustafa Kemal Ataturk viene superato in longevità, passando da padre della patria a ‘nonno’, perché la Turchia ha scelto un nuovo ‘padre’ per il suo prossimo futuro.
La riforma prevede, tra l’altro, la regolamentazione relativa allo stato di emergenza, norma che vige initerrottamente dallo scorso 22 luglio, una settimana dopo il fallito golpe. Il parlamento avrà tre mesi per approvare lo stato di emergenza, al quale e’ stata aggiunta la previsione della leva di massa. Il presidente della repubblica potrà anche proporre la sospensione o la limitazione di diritti civili e libertà fondamentali. Prevista l’eliminazione delle corti e dei giudici militari, con il numero dei membri della corte costituzionale che, di conseguenza, si riduce a 15.
Ridimensionato il ruolo di controllo che il parlamento esercita su governo e presidente, un’attività che viene limitata alla possibilità di richiedere informazioni, indire riunioni per discutere delle azioni dell’esecutivo e del capo dello stato, con inoltre la possibilità di sollecitare delle risposte da parte dei singoli ministri con domande poste per iscritto. A pesare è però l’abolizione della mozione di sfiducia del parlamento nei confronti di presidente ed esecutivo. Tra i nuovi prerequisiti richiesti ai candidati alla carica di presidente della Repubblica un’età almeno 40 anni, una laurea e ovviamente tutti i requisiti per poter essere eletto in Parlamento.
Inoltre sarà possibile per il capo dello Stato mantenere il legame con il proprio partito di provenienza, nel caso di Erdogan il partito della Giustizia e Sviluppo Akp, legame che nelle precedenti previsioni doveva essere troncato a favore di un giuramento di totale imparzialità. Confermata l’elezione diretta da parte del popolo il presidente acquisisce tutti i poteri esecutivi fino ad oggi attribuiti al premier, passando cosi alla guida del governo.
Il nuovo ‘Capo dello Stato’ avrà l’autorità per proporre leggi e rimettere al parlamento disegni di legge chiedendone la revisione e, qualora sorgano dubbi di costituzionalità, chiedere la pronuncia da parte della Corte Costituzionale. In capo al presidente della Repubblica la funzione di nomina e destituzione di vicepresidenti, ministri e funzionari governativi, ma sopratutto il potere di emettere decreti legislativi su argomenti normalmente di competenza del governo, con l’esclusione di materie relative libertà fondamentali e diritti civili e politici.
Cocis