Una fotografia satellitare scattata sul campo di Chignolo d’Isola il 24 gennaio 2011, prima della scoperta del cadavere di Yara Gambirasio. Ecco l’asso nella manica che i difensori di Massimo Giuseppe Bossetti si apprestano a calare nel processo d’appello che prenderà il via domani mattina a Brescia. Un elemento nuovo, come anticipato oggi da ‘Il Fatto Quotidiano’, contenuto nei motivi aggiuntivi d’appello depositati nelle scorse settimane dal pool di avvocati che difende il carpentiere di Mapello.
L’analisi di quell’immagine, spiega l’avvocato Claudio Salvagni, dimostra che a fine gennaio il cadavere di Yara non era nel campo.
Dimostrare che il corpo della vittima non è rimasto per tre mesi a Chignolo d’Isola, così come sostenuto dall’accusa, ma che vi è stato portato in un momento successivo al 24 gennaio è un elemento che, nella speranza della difesa, potrebbe rivelarsi decisivo per scagionare il carpentiere di Mapello.
C’è in ballo la sua vita, sottolinea l’avvocato Salvagni che nei giorni scorsi è andato a far visita a Bossetti in carcere e lo ha trovato concentrato e teso, ma anche fiducioso che possa ottenere giustizia. Il fulcro del processo resta però il dna. Una prova definita ‘granitica’ dalla Corte d’Assise di Bergamo che un anno fa, il 1 luglio 2016, condannò all’ergastolo il 47enne, sposato con Marita Comi e padre di tre figli. Secondo i giudici del processo di primo grado, fu lui a rapire la tredicenne Yara fuori dalla Polisportiva di Brembate Sopra, a seviziarla con crudeltà con un coltello ed abbandonarla ormai incosciente nel campo di Chignolo d’Isola lasciandola morire tra le ferite e il freddo di quella gelida sera del 26 novembre 2010.
A incastrarlo, sempre secondo quanto decretato dalla sentenza di primo grado, è il suo dna che corrisponde a quello dell’assassino, prelevato dagli slip e dai leggins della tredicenne e ribattezzato dagli investigatori ‘Ignoto 1’.
Il nuovo elemento portato dalla difesa del muratore è stato depositato lo scorso 15 giugno alla Corte d’Assise d’appello di Brescia. La foto accompagna la richiesta della difesa di una maxi perizia su più elementi, tra cui il dna. Come consulente i difensori hanno ora ingaggiato Peter Gill, uno dei padri della genetica forense. Il carpentiere è stato condannato il primo luglio di un anno fa dopo quattro anni d’inchiesta, 18 mila prelievi del dna tra gli abitanti di Brembate e delle valli circostanti, oltre alla scoperta che Bossetti è il figlio illegittimo dell’autista di bus di Gorno, Giuseppe Guerinoni, morto nel 2009. Da tre anni il muratore si proclama innocente e ora i suoi avvocati puntano a ribaltare il verdetto del carcere a vita partendo da una riapertura del dibattimento e soprattutto dall’accoglimento della richiesta, bocciata anche in primo grado, di una perizia sul dna trovato sui legging della piccola ginnasta. La decisione della corte bresciana, presieduta da Enrico Fischetti, che sia la sentenza o un’ordinanza di rinnovazione del procedimento, dovrebbe arrivare tra il 14 e il 17 luglio, stando al calendario già comunicato dai giudici alle parti. L’appello inizierà con la lettura delle relazione del processo di primo grado. Poi, la parola dovrebbe passare al sostituto pg Marco Martani, il quale chiederà che il carpentiere venga condannato anche per calunnia nei confronti di un collega verso il quale avrebbe cercato di indirizzare le indagini (imputazione caduta in primo grado).
Non assisteranno nemmeno al secondo grado (davanti alla Corte di Bergamo andarono solo per testimoniare) i genitori di Yara, assistiti dagli avvocati Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta. Intanto, in carcere dal 16 giugno 2014 Bossetti continua a vedere moglie e figli e professa la sua innocenza.
La società, ha scritto di recente in una lettera, rivolgendosi ai giudici in vista dell’appello. ha sete di verità, se non volete farlo per me, facciamolo tutti per Yara, la povera Yara, l’angelo di tutti noi.