Parla Antonio Dal Cin, condannato a morte con le fibre di amianto. Non doveva andare così per il giovane finanziere: una vita dedita al servizio, messa nelle mani dello Stato, donato alla collettività, per la difesa dei valori etici e civili. E’ stato esposto ad amianto per motivi professionali, senza protezioni, senza mascherine e si è ammalato di asbestosi.
Ha aderito all’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona) e continua ad onorare il suo giuramento, chiedendo che altri militari e anche tutto il personale civile dello Stato non sia esposto a cancerogeni. Sono le stesse richieste dell’Ona e del presidente Ezio Bonanni, pioniere nella battaglia contro l’amianto che ha incrociato il percorso di Antonio Dal Cin ed in parte lo ha condiviso, per le pesanti ripercussioni che questa scelta personale e professionale hanno determinato e sulle quali egli ha sempre mantenuto il riserbo.
Dal Cin, invece ancora oggi attende il riconoscimento dell’equiparazione alle vittime del dovere.
Perché tutta questa attesa? Perchè questi ritardi?
Che fossimo in guerra in tempo di pace non avremmo mai potuto saperlo, anche perché nessuno ce lo aveva mai detto. Del resto, non ci era stata fornita alcuna informazione sull’esistenza di un nemico subdolo, invisibile e purtroppo invincibile, che uccide peggio di un cecchino, e senza alcuna pietà. Questo nemico si chiama amianto, una fibra che uccide nel tempo.
C’è stata inflitta una sofferenza da chi ha omesso di informarci sul rischio morbigeno per esposizione all’amianto, senza poi provvedere a quella doverosa azione di tutela della salute, attraverso l’utilizzo di idonei mezzi e strumenti, e comunque, con quanto di meglio messo a disposizione dalla scienza e dalla migliore tecnologia.
Siamo stati messi in fila per morire, davanti il plotone di esecuzione che usa le fibre di amianto come delle pallottole, che però provocano un’agonia che dura 10, 20, 30 anni.
Le vittime dell’amianto, vengono lasciate morire, spesso prive di diagnosi e di cure e soprattutto senza giustizia e gli orfani e le vedove devono convivere con questa situazione.
Cosa l’ha spinta ad impegnarsi nell”Ona?
Davanti ad una strage annunciata, si continua a dimostrare di non voler porre rimedio all’errore dell’uomo ed è inoppugnabile che la flotta della Marina Militare italiana non è stata completamente bonificata e tuttora tantissimi militari risultano esposti all’amianto, e questa condizione, inevitabilmente, determinerà nel tempo altra morte e sofferenza. Occorre che si dia seguito alla conta dei morti e degli ammalati, in quanto i numeri forniti dal Ministero della Difesa, non possono assolutamente essere considerati attendibili, anche alla luce dei processi che sono stati avviati e solo per la Marina Militare hanno accertato oltre seicento decessi per patologie asbesto correlate. E’ evidente che la tragedia è di più ampie proporzioni se si vanno a considerare tutte le Forze Armate, ma anche i Corpi di Polizia ad ordinamento civile e militare. E’ necessario dunque dare un volto e un nome a queste vittime dell’amianto, riconoscere ai familiari quei diritti che la legge prevede, oltre a punire i colpevoli di questa immane tragedia. Contestualmente, è doveroso e necessario assistere coloro che hanno contratto patologie da amianto ed oggi risultano abbandonati a se stessi.
L’Osservatorio Nazionale Amianto, io stesso al pari di Ezio Bonanni, non possiamo non ribadire la necessità di un’efficace sorveglianza sanitaria, ai fini di una diagnosi precoce, che si deve legare poi a terapie efficaci, in grado quindi di dare una speranza di sopravvivenza a condizioni di salute dignitose.
Sin dal principio, ho preso coscienza di dover morire per via dell’amianto e quindi di essere già sul patibolo.
Ho una seconda moglie e altri due figli minorenni in tenera età, che purtroppo rimarranno orfani del loro padre, ucciso dall’amianto, e quindi resisto anche per loro. Affronto tutte le sofferenze che queste fibre di amianto mi provocano, perché ho l’asbestosi con le complicazioni cardiache, e quindi ho difficoltà a respirare, dolori al petto e dolori di ogni tipo. Questa vita così non può essere considerata vita, però debbo vivere per lottare, perché altri non debbano subire questa sorte e vivo per i miei figli, tra i quali Anna di 10 anni e Matteo di 4 anni, quest’ultimo è nato quando già avevo l’asbestosi.
Dobbiamo lottare per la bonifica, in modo che si evitino altre esposizioni e quindi altre malattie e morti, una scia di lutti che dobbiamo bloccare.