Scuola e abuso fraudolento della 104

 Permessi retribuiti per tre giorni al mese per accudire parenti affetti da disabilità. Una norma di civiltà prevista dalla legge 104 del 1992 che però, nel mondo della scuola, ha dato vita al poco civile fenomeno dei ‘furbetti’. Gli insegnanti a tempo indeterminato, infatti, usufruiscono di questi benefici in una percentuale di quasi nove volte superiore rispetto ai lavoratori del settore privato, dove solo l’1,5% ricorre a questa possibilità. Una differenza così eclatante da far nascere sospetti. Anche e soprattutto al Ministero dell’Istruzione dove la ministra Valeria Fedeli ha annunciato una ‘stretta’.

 È un caso tutto scolastico quello che riguarda l’uso smodato della 104 tra gli insegnanti e il personale ausiliario e la denuncia arriva direttamente da viale Trastevere dove il ministero dell’Istruzione sta stilando un piano specifico per mettere fine a un fenomeno ormai fuori controllo. La legge del ‘92 permette, a chi è affetto da disabilità o ha parenti disabili, di assentarsi dal lavoro, per un massimo di tre giorni al mese, per effettuare visite di controllo o cure senza perdere la retribuzione.

 Una norma importante, che va a sostegno di chi ne ha davvero bisogno, ma c’è chi ne abusa. I dati del Miur parlano chiaro: il 13% dei docenti di ruolo della scuola pubblica beneficia della 104 contro una media dell’1,5% dei dipendenti delle aziende private. Una percentuale di quasi 9 volte superiore. Decisamente troppo per non destare sospetti. A metà tra i due estremi si collocano i docenti precari: i supplenti che usufruiscono dei permessi sono il 5% del totale, quindi molto meno dei loro colleghi a tempo indeterminato ma comunque più dei lavoratori del privato. Ancora più clamoroso il ricorso ai permessi da parte del personale tecnico amministrativo (gli Ata), tra i quali ad usufruire dei benefici della legge è addirittura il 17%.
 

L’art. 15/6 del CCNL comparto Scuola dispone che ‘I permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 sono retribuiti come previsto dall’art. 2, comma 3 ter, del decreto legge 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge 27 ottobre 1993 n. 423, e non sono computati ai fini del raggiungimento del limite fissato dai precedenti commi né riducono le ferie; essi devono essere possibilmente fruiti dai docenti in giornate non ricorrenti’.

Si ricorda che la fruizione parziale dei giorni di permesso non dà diritto al godimento del residuo nel mese successivo.

I permessi si intendo a giorni (a meno che ovviamente non si tratti di permessi fruiti ad ore per handicap personale), e non esiste assolutamente alcun recupero.

Indipendentemente dall’orario di servizio giornaliero o settimanale e si tratti di docenti o ATA, il dipendente fruitore dei permessi non può essere soggetto al recupero delle ore non lavorate, di attività non prestate o avere l’incombenza di trovarsi i sostituiti per i giorni in cui si assenta.

Gli unici permessi orari che devono essere recuperati sono quelli di cui all’art. 16.

A breve partirà un tavolo tra Miur, Inps, ministero della Salute e Regioni,  soggetti a cui la Fedeli ha già scritto ottenendo una risposta positiva a collaborare,  che metterà in piedi una rete a maglie molto strette con strategie di monitoraggio e controllo dei benefici fruiti in base alla 104.

Gli ultimi numeri a disposizione del Miur sull’utilizzo dei permessi previsti dalla 104 sono contenuti in un report del 2016 e al ministero di viale Trastevere spiegano che la tendenza è confermata anche quest’anno. Usufruisce, dunque, della 104 intorno al 13% dei docenti di ruolo e il 5% dei supplenti, ovvero degli insegnanti precari. Ecco qui la prima distanza che fa sorgere qualche sospetto. E tra i dipendenti statali, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, c’è un altro comparto, spesso sotto i riflettori, nel quale il ricorso alla 104 supera la stima del 13% dei lavoratori: la sanità. Sempre sopra il 10%, che è la media finora stimata di beneficiari della 104 nel settore pubblico, i comparti dei lavoratori delle Regioni e anche dei Ministeri.

La ‘stretta’ sulla 104? Non capisco cosa vuol dire,  attacca Pino Turisegretario della Uil scuola  perché chi ha diritto ad averla deve poterla ottenere, chi non ha diritto no.

Nel pianeta scuola il ricorso alla 104 è diffusissimo al Sud, con percentuali doppie rispetto al Nord. Primeggia la Sardegna con quasi due docenti su dieci (il 18,7%), seguita da Umbria (17,1%), Sicilia (16,7%), Lazio (16,3%), Puglia (15,9%), Campania (15,7%). All’opposto il Piemonte dove solo l’8,26% degli insegnanti ha la 104 mentre anche Toscana e Veneto sono sotto la soglia del 10%. Sul fronte del personale Ata la percentuale media dei richiedenti è del 17%, mentre la regione con il maggior numero di beneficiari è l’Umbria con il 26,7%.

Ma non basta. Gli eventuali ‘furbetti’ oltre a godere, senza averne i requisiti, di permessi retribuiti hanno anche agevolazioni nelle graduatorie scolastiche. Ovvero a parità di punteggio chi ha riconosciuta la 104 ha la precedenza sugli altri, sia nella scelta della scuola, sia nell’entrata in ruolo. Non solo: la 104 consente di evitare di perdere il posto e di essere trasferito.

Questo è quanto si può collegare al cosiddetto modello B che consente al supplente, ad esempio, di indicare la scelta della scuola. In questi giorni ci sono state 8.000 domande all’ora, oltre 700mila accessi in pochi minuti.

Per non parlare del fatto che i permessi della 104 non possono essere messi a supplenza, così a rimetterci, con le ore di lezione scoperte, sono i ragazzi e le famiglie.

Tre anni fa fece scandalo il caso di Agrigento dove all’Istituto Santi Bivona di Menfi, 70 insegnanti su 170, praticamente il 40%, avevano la 104. Ma è proprio il sistema di analisi e di valutazioni per la concessione di questi permessi che fa riflettere e da più parti è stata richiesta una revisione.

Moreno Manzi

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