Brexit e crescita dei nazionalismi. Questione migratoria. Stato di diritto in alcuni paesi membri e scandali finanziari. Attentati terroristici e sicurezza. Il 2016 lasciava l’Unione in uno stato di incertezza e di inquietudine: la Brexit sembrava aver aperto la porta a una disgregazione del progetto comunitario; l’elezione oltreoceano di Donald Trump che, in un discorso a pochi giorni dall’Inauguration Day, diceva di auspicare all’emulazione di Londra da parte degli altri Stati europei, appesantiva ulteriormente la situazione nel vecchio continente; paesi come Francia e Germania si apprestavano ad andare alle elezioni, insieme ad Olanda, Austria e Repubblica Ceca, e registravano un crescente aumento dei partiti euroscettici e di quelli di estrema destra; decine di migliaia di persone in fuga dal continente africano e dal Medio Oriente trovavano la morte in mare o fili spinati e muri alle frontiere della civile e ricca Europa; auto sulla folla e accoltellamenti continuavano a creare un clima di terrore tra la popolazione. Il 2016 ha lasciato in eredita’ all’anno che si sta chiudendo in queste ore sfide epocali che di certo non potevano essere risolte nell’arco di soli 365 giorni, ma che, almeno a parole, l’Europa sembra volerle raccogliere e risolvere, in nome non tanto di una sopravvivenza, quanto di un desiderio di rilancio e di miglioramento del progetto unitario. Questo, ad esempio, e’ quello che i 27 capi di Stato e di Governo hanno sottoscritto a marzo a Roma, durante le celebrazioni per i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma del 1957, prima pietra della costruzione dell’Unione: lavorare per un’Europa della sicurezza, del lavoro e dei diritti, prevedendo si’ l’indivisibilita’, ma anche la liberta’ per gli Stati membri di marciare ‘a piu’ velocita”, e’ la priorita’ di tutti gli Stati membri.
Alle celebrazioni di Roma, svoltesi tra eccezionali misure antiterrorismo e senza scontri tra i manifestanti, ma a pochi giorni dall’attentato di Londra, l’Europa e’ arrivata con un leggero sorriso in bocca: in Olanda, infatti, l’islamofobo e anti-UE Partito per la Liberta’ di Geert Wilser era stato fermato dall’elettorato, sebbene lo abbia fatto arrivare al secondo posto. La minaccia populista veniva bloccata al primo test. Un comportamento seguito anche in Francia dove quella che era considerata la ‘prova regina’ per l’Europa, ovvero la corsa per l’Eliseo, ha sancito la vittoria del giovane Emmanuel Macron e la sconfitta, sebbene con una percentuale di voti (33,94% al ballottaggio) mai raggiunta prima nella storia del Front National, di Marine Le Pen. Le elezioni di giugno nel Regno Unito, poi, non hanno dato l’ampia maggioranza sperata dalla premier Theresa May per avere un forte mandato popolare nelle trattative per la Brexit e hanno fatto nascere, invece, un parlamento in bilico, rendendo problematica la formazione del governo. Se da un lato, quindi, i cosiddetti populismi in Europa non hanno prevalso pur avendo, comunque, legittimazione e consenso, dall’altro i partiti storici, popolare e socialista, hanno subito delle perdite e, in tutte le tornate elettorali, comprese quelle in Germania a settembre, in Repubblica Ceca e in Austria a ottobre, si sono affermati in posizioni di rilievo partiti di estrema destra. Da sottolineare le elezioni in Germania dove non solo Angela Merkel ha pagato le sue politiche di apertura in tema di immigrazione ed e’ tuttora in trattativa per la formazione di un governo stabile, ma dove, soprattutto, e’ rientrato in parlamento il partito di estrema destra Alternativa per la Germania. Unica eccezione l’Islanda, dove le urne hanno premiato la verde e di sinistra Katrin Jakobsdottir che ha sconfitto il partito degli indipendentisti e che guidera’ una coalizione con verdi, centro e centrodestra.
I populismi, quindi, non hanno avuto la meglio, ma nel 2017 l’Europa si e’ data una forte impronta di destra. Su questo, non poco ha giocato un ruolo la crisi migratoria. Il piano dei ricollocamenti che, dopo due anni, si e’ chiuso, non ha dato i risultati sperati (120mila ricollocamenti in due anni) e se 20mila sono stati i rifugiati ricollocati dalla Grecia, solo poco piu’ di 9mila sono stati quelli ridistribuiti dall’Italia. Un piano, questo dei ricollocamenti, piu’ volte contestato e non messo in pratica da alcuni Paesi del gruppo dei Visegrad, tanto che Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia sono sotto procedure di infrazione per non averlo rispettato e la Corte di Giustizia dell’Unione europea, a settembre, ha respinto i ricorsi di Slovacchia e Ungheria contro il sistema delle relocation. Su questo fronte, pero’, e’ stato anche l’anno della riforma del Regolamento di Dublino, fatta e votata dal Parlamento europeo, che ora si appresta ad andare al negoziato con il Consiglio. Una riforma che intende eliminare il concetto di responsabilita’ del primo paese di ingresso ed estendere e rendere automatico il sistema dei ricollocamenti dei richiedenti asilo tra i Paesi membri. Oltre ai migranti, in questi 12 mesi gli europei hanno assistito alla prima fase delle trattative per la Brexit che si e’ chiusa a dicembre, dando il via alla seconda parte dei negoziati sul divorzio, e che ha stabilito tre punti principali: l’ammontare economico della separazione da parte del Regno Unito, stimato tra i 40 e i 45 miliardi; la tutela dei diritti dei cittadini, chiarendo sia che gli oltre 3 milioni di cittadini europei che vivono su suolo britannico saranno sottoposti al diritto britannico applicato nelle corti britanniche sia che il Regno Unito riconoscera’ il ruolo della Corte di giustizia europea; la non costruzione di barriere fisiche tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Diretta e prima conseguenza della Brexit e’ stata anche la ricollocazione di agenzie europee che avevano sede a Londra: l’Ema, quella del farmaco, assegnata ad Amsterdam e l’Eba, quella bancaria, andata a Parigi. La questione dei diritti non e’ solo qualcosa che ha interessato l’Europa in merito alla Brexit. L’omicidio, il 16 ottobre, di Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese che stava indagando sui Panama Papers e aveva lavorato ai MaltaFiles, l’inchiesta internazionale che indicava Malta come ‘lo Stato nel Mediterraneo che fa da base pirata per l’evasione fiscale nell’Unione europea’, ha concentrato l’attenzione sullo stato della liberta’ di informazione nell’Unione e ha riacceso le luci sugli scandali finanziari, panama papers e paradise papers, che coinvolgono personalita’ di spicco della politica, dello spettacolo, dello sport e della cultura dell’Europa. Sempre in tema di diritti, questo e’ stato l’anno delle agitazioni delle donne, in tutto il mondo occidentale e anche in Europa, contro la violenza di genere e per la tutela dei diritti di autodeterminazione delle donne: un’eredita’, questa, che arrivava anche dal 2016 e dalle proteste delle donne polacche contro la proposta di legge antiaborto del governo. In chiusura, la questione catalana, la risposta data a Trump in merito al ruolo di Gerusalemme nelle relazioni tra Israele e Palestina, la nascita della PESCO e la proposta per la prima volta nella storia, di applicazione dell’articolo 7 contro uno Stato membro sono i tre maggiori eventi da sottolineare. A un mese dal referendum sull’indipendenza, che si e’ svolto in un clima di criminalizzazione e violenze messo in atto dal presidente Mariano Rajoy e dalla monarchia madrilena, il presidente catalano, Carles Puigdemont, e alcuni membri del suo governo hanno trovato riparo in Belgio: una manovra sia per evitare l’incarcerazione che ha toccato molti altri politici indipendentisti sia per portare sullo scenario europeo la questione catalana.
Le elezioni del 21 dicembre scorso, in seguito alla sospensione del governo di Barcellona e all’applicazione dell’articolo 155, hanno sancito da un lato la vittoria del partito unionista Ciudadanos, ma, dall’altro, hanno premiato con un’ampia maggioranza di consenso i partiti indipendentisti. E questa sara’ una eredita’ del 2017 sul 2018: cosa accadra’ e come interverra’ l’Europa? Cosa rispondere a Trump, invece, dopo la sua dichiarazione di riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele, e’ stato subito chiaro all’Europa. Come gia’ avvenuto sul clima e gli accordi di Parigi, dai quali Trump e’ uscito, o sul TTIP, che Trump ha congelato, l’Unione ha deciso di non seguire il presidente statunitense nei suoi strappi e di procedere autonomamente. E come ha deciso di giocare da protagonista sul clima e di portare avanti trattati commerciali come il Ceta con il Canada o con il Mercosur, nonostante lo stop di Trump sul TTIP, allo stesso modo sulla questione di israelo-palestinese l’Europa ha deciso di non assecondare gli Usa e di non riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Una decisione resa ufficiale anche in sede Onu, dal voto contrario di tutti i Paesi europei alla proposta statunitense. E se gli Usa sembrano volersi isolare, l’Europa guarda avanti e ha partorito, nel 2017, la Pesco, ovvero la cooperazione strutturata permanente in tema di difesa che prevede gli investimenti nella difesa dei 27 membri, lo sviluppo di nuove capacita’, e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari. Un passo verso la difesa comune e, forse, un comune esercito. Sul fronte interno, invece, per la prima volta nella storia la Commissione Europea ha proposto l’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati contro uno Stato membro, ovvero contro la Polonia per la grave crisi dello stato di diritto del Paese dal momento che l’apparato della giustizia appare, a detta di Bruxelles, sotto stretto controllo politico.
Se tale misura eccezionale e di estrema punizione venisse approvata anche in sede di Consiglio, alla Polonia verra’ revocato il diritto di voto all’interno del Consiglio. Ultima nota, le cariche. Il 2017 si e’ aperto con l’elezione alla Presidenza del Parlamento Europeo di Antonio Tajani e si e’ concluso con l’elezione, a dicembre, del Ministro delle finanze portoghesi, Mario Centeno, a Presidente dell’Eurogruppo. L’elezione di Tajani ha fatto fare al Partito Popolare Europeo il pieno bottino di cariche nelle istituzioni, visto che gia’ si avevano Donald Tusk, che e’ stato poi rieletto a marzo alla Presidenza del Consiglio Europeo, e Jean Claude Juncker alla guida della Commissione Europea (entrambi del PPE). Il Partito Socialista Europeo puo’ vantare, invece, Centeno.