Tra Fantasmi ed illusioni, la crisi sempre più attuale del matrimonio: scene d’autore al Bellini

Credere senza riserve a una realtà inverosimile, per proteggere se stessi da una verità amara e dalla sofferenza che deriverebbe dalla presa d’atto che l’ideale di famiglia si è interiormente deteriorato.

È nel perfetto equilibrio tra comico e tragico del testo, il segreto del successo di ‘Questi fantasmi!’ di Eduardo De Filippo, che giunge di nuovo a Napoli – reduce dai consensi riscossi a Firenze e Torino – ed è al Teatro Bellini, fino al 21 gennaio.

È presentato dalla ‘Elledieffe’ nella messinscena della ‘Compagnia di Teatro di Luca De Filippo’, diretta da Carolina Rosi, in un’edizione affidata a Marco Tullio Giordana, uno dei più rappresentativi e rigorosi registi italiani, che resta abbastanza fedele al testo originale con il suo fatalismo napoletano, il particolare concetto di esistenza, le miserie, le gioie e le illusioni di un particolare vissuto che rende unica la cultura di Napoli, non scevro dalla passionalità e da una buona dose di salutare quanto gradita ironia.

Indispensabile si configura, in quest’ottica, il ricorso coerente al registro linguistico fondamentalmente giocato sulla lingua – perché tale è e non dialetto – napoletana  stretta nella rappresentazione a Napoli e meno in quelle nordiche, che assume un ruolo determinante nella schiettezza delle scene, scenograficamente incentrate sulla riproduzione, volutamente sfocata, impolverata, sbiadita, di un tipico interno napoletano della metà del Novecento, di chiaro gusto ottocentesco della migliore tradizione.

Sulla scena: Gianfelice Imparato, Carolina Rosi, Nicola Di Pinto, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Giovanni Allocca, Gianni Cannavacciuolo, Viola Forestiero, Federica Altamura, Andrea Cioffi, accomunati nel preciso intento di onorare l’opera di Eduardo e del figlio Luca, interpretando quelle ‘anime in pena, perdute, irrequiete, tristi, innocenti, nere, dannate, libere, inutili e condannate’ – così definite dallo stesso autore – insieme all’onnipresente professore Santanna, misterioso dirimpettaio perennemente affacciato, soprattutto quando la sua presenza risulta inopportuna o addirittura scomoda.

Scene e luci sono di Gianni Carluccio, i costumi di Francesca Livia Sartori, le musiche curate da Andrea Farri.

Il testo propone uno dei temi centrali della drammaturgia eduardiana, quello della vita messa fra parentesi, sostituita da un’immagine sovrannaturale ovvero da un travestimento, una maschera imposta dalle circostanze. Ed è una storia per alcuni versi farsesca, che racconta la necessità di essere ciechi, di non vedere per non sapere per non soffrire.

Scritto nel 1945, la commedia in parte tragica, in parte comica, in una sapiente alternanza e fusione, seconda della raccolta Cantata dei giorni dispari dopo ‘Napoli Milionaria!’, fu rappresentata il 7 gennaio 1946 al Teatro Eliseo di Roma, dalla compagnia ‘Il teatro di Eduardo’ con Titina De Filippo. È del ’54 il primo film diretto dall’autore, che ne fu anche sceneggiatore insieme a Mario Soldati e Giuseppe Marotta, e si avvalse, quale protagonista, dell’interpretazione di Renato Rascel. Il 7 giugno del 1955, giunse a Parigi, al Theatre de la Ville con Sarah Bernhardt, prima commedia di Eduardo rappresentata all’Estero. Due le versioni televisive: la prima nel 1956, per la regia di Eduardo; nel 1962, fu realizzata la seconda, in cui egli fu collaborato da Stefano De Stefani ed inoltre il lavoro fu portato in tournée in Polonia, Ungheria, Austria, Urss. Nel 1967, poi, il nuovo film con Vittorio Gassman e Sofia Loren, diretto da Renato Castellani.

Nel 1981 ‘Questi Fantasmi’ si avvale della firma di Enrico Maria Salerno; nella stagione 1991-92, poi, la rappresentazione  al Teatro Morlacchi di Perugia, ad opera della compagnia di Luca De Filippo, per la regia di Pugliese. Ennesima versione con Silvio Orlando diretto da Armando Pugliese ed ancora un’altra con Carlo Giuffrè.

Questa in scena al teatro di via Conte di Ruvo rappresenta, come sottolineato da Carolina Rosi ‘la sintesi di un lavoro che avvia percorsi artistici condivisi, e che continua, nel rigoroso segno di Luca, a rappresentare e proteggere l’immenso patrimonio culturale di una delle più antiche famiglie della tradizione teatrale italiana’  Ma come nasce la commedia? Fu proprio Eduardo in persona a svelarlo: ‘C’era un vecchio con la barba che veniva a casa quando ci trovavamo tra amici perché raccontava di essere uno specialista di sedute spiritiche. Per convincermi, mi diceva che spesso, tornando a casa sua, trovava un tipo che usciva e lo salutava. Diceva di essere un fantasma. Io gli chiesi: ‘Lei è Sposato? E sua moglie non dice nulla?’ ‘Non se ne accorge’- mi rispose- ‘non lo vede’. Così nacque ‘Questi Fantasmi!’.

Inoltre, secondo alcuni, Eduardo si ispirò, probabilmente, per la sua realizzazione a un episodio narrato dal padre, Eduardo Scarpetta di cui quest’ultimo fu protagonista, quando con la sua famiglia, in ristrettezze economiche, fu costretto a lasciare la propria abitazione da un giorno all’altro, ma riuscì a trovare in poco tempo una nuova sistemazione, all’apparenza eccezionale, con un affitto stranamente ridottissimo da pagare. Il mistero fu chiarito dopo qualche giorno: la casa era frequentata, a detta dei vicini, da un impertinente ‘monaciello’, figura di fantasma bambino, nell’immaginario popolare napoletano.

Il lavoro eduardiano indaga il matrimonio, legame assai dibattuto che, come spesso accade, può incrinarsi col passare del tempo, lasciando posto alla angosciosa vuotezza dell’abitudine.

L’intuizione di De Filippo sta nel riuscire a trasportare queste riflessioni sul dramma coniugale e sulla cultura squisitamente napoletana in cui la dimensione soprannaturale occupa un posto di rilievo, così come il rapporto confidenziale con la morte e le assortite anime dell’aldilà, in uno scenario caratteristico partenopeo, presentato al Mondo, che si realizza nella attuale messa in scena anche nei panni stesi ad asciugare, complice la corda tipica dei quartieri popolari di Napoli, tesa in teatro tra una barcaccia e l’altra dell’ultimo ordine, a sovrastare il palco dove campeggia – delimitata da due balconi attraverso i quali i personaggi hanno contatto con l’esterno, rappresentato da un curioso professore immateriale, presente unicamente come riferimento – l’interno di un’antica dimora nobiliare seicentesca, deteriorata così come lo è il rapporto matrimoniale dei due protagonisti.

‘Questi fantasmi!’, partendo da una commedia realistica sulla crisi dell’unione coniugale, rappresenta un’occasione di riflessione  sulla cultura partenopea e sull’ingenuità dei personaggi che la rappresentano in maniera intima e vera.

Pasquale Lojacono (intensamente interpretato da Gianfelice Imparato), personaggio principale insieme alla moglie Maria (la efficace Carolina Rosi), non può non lasciare il pubblico sgomento per la sua creduloneria che, se in partenza può apparire ambigua, si rivela figlia di una purezza interiore inconcepibile agli occhi dello spettatore medio, scafato dalle esperienze della vita.

Ma l’amore rende ciechi e limpidi perché l’amata è vista sempre senza macchia o, più realisticamente, l’autotutela da scoperte dolorose porta a ricercare, per sopravvivere, in una ‘dimensione altra’ la spiegazione alle evidenti testimonianze di un adulterio perpetrato a lungo anche tra le mura coniugali.

È la negazione della putrefazione del rapporto, della colpa torbida di colei che sì vuole credere a tutti i costi immacolata, risultando, di fatto, proprio agli occhi dell’amata ed agli occhi del prossimo ancora più turpe – pure se innocente – di quanto gli altri effettivamente lo siano.

La trama narra di Lojacono, marito innamorato e squattrinato che coglie l’occasione di affittare gratuitamente un appartamento storico nell’antica via Tribunali, cuore di Napoli  in cambio di una progettata pubblicità positiva sull’immagine dell’immobile, abbandonato puntualmente da tutti gli inquilini perché creduto infestato da pericolosi fantasmi. L’appartamento nasconde un mistero risalente al Settecento: due amanti, murati vivi in una delle camera dal marito tradito, un feroce aristocratico spagnolo.

Pasquale, che intende realizzarvi una redditizia pensione, per usufruire dell’ospitalità deve testimoniare, su specifica richiesta del proprietario, agli abitanti degli altri palazzi vicini ed ai viandanti, che lì vive in tutta serenità e che quindi non vi è fantasma alcuno. Per far questo, deve affacciarsi ai 68 balconi dell’appartamento e cantare in allegria mattino e sera, in modo da far capire che l’appartamento è abitato da comuni mortali e non dai fantasmi. Inizia con ‘Lucean le stelle’ e continua con ‘Ah l’ammore che fa fa’, arricchendo la rappresentazione in maniera allegramente canora (su questo indirizzo anche la successiva sonata tra il pubblico in sala di due posteggiatori in costume). L’uomo accetta, e investe gli ultimi suoi averi nell’acquisto della mobilia per arredare la camere da affittare.

I colloqui col portiere dello stabile Raffaele (Nicola Di Pinto) che approfitta della diceria dei fantasmi per derubare puntualmente gli inquilini di cibo e vestiario, evidenziano un rappresentativo spaccato della Napoletanità, con le difficoltà quotidiane – tipiche dell’immediato dopoguerra in cui è ambientato il lavoro, e mai superate – e sulla necessità, che diventa addirittura vitale nelle parole di Raffaele, di avere un rapporto con le anime, celesti e pure infernali, invocando la loro patteggiata protezione.

Un’alleanza che però può sconvolgere la mente, come nel caso della visionaria e tragicomica Carmela (Viola Forestiero), alla quale il cavaliere fantasma si sarebbe manifestato.

Ed è un chiaro omaggio alla Napoletanità pure la significativa scena del caffè sul balcone, quando Lojacono ne descrive minuziosamente la preparazione dalla tostatura alla bollitura della polvere, al professore dirimpettaio, virtuale in quanto personaggio immateriale riferito. Gesti rituali e ripetitivi compiuti con accortezza quasi maniacale, alla ricerca di un piccolo piacere quotidiano da godere in solitudine o da dividere con un amico degno a ricompensa di una vita fatta di stenti e di incertezze, al limite tra realtà e terapeutica fantasia.

L’espediente dei fantasmi ed in particolare del fantasma magnanimo che lascia soldi nelle tasche della giacca di Pasquale, è fondamentale per reggere il successivo intreccio della commedia, in stile con la tradizione scarpettiana, presa in prestito da Molière e la Commedia dell’Arte, dove l’equivoco regge la trama in una gradevolmente fruibile commedia degli equivoci che promuove in effetti una intensa indagine sulla caducità dell’armonia matrimoniale.

Lo sfondo comico non sacrifica il tema centrale dell’incomunicabilità e della distanza tra i coniugi, ovvero tra individui sulla scia di Pirandello  Pasquale muta l’atteggiamento scettico – peraltro minato già appena dopo l’incontro con la sostituta-portiere Carmela, sorella di Raffaele, choccata per sempre da un incontro con l’anima del cavaliere spagnolo, e si converte del tutto alla creduloneria nei fantasmi quando vede in casa il fedifrago Alfredo, amante della moglie ed a sua volta sposato, interpretato dal passionale Massimo Di Matteo, che ha già lasciato moglie e figli ed è determinato a portare via Maria dalla casa coniugale Il marito sprovveduto quanto innamorato, che non realizza di essere tradito, individua in lui l’anima vagante del cavaliere maledetto e lo lascia passare terrorizzato senza rivolgergli la parola, così come Alfredo fa con lui. Non solo: conoscendo le difficoltà economiche di Pasquale, ogni volta che si incontra nella casa con Maria, depone nella tasca della sua giacca dell’uomo qualche banconota per le spese di casa, per non fare patire la miseria all’amata, in attesa che la pensione ingrani con i primi clienti.

Ma Pasquale è convinto che i soldi gli siano donati per simpatia dal fantasma del cavaliere. Ne parla al portiere Raffaele, in maniera chiara da cui si evidenzia la necessità di un rapporto di protezione in cui le anime dell’aldilà possano aiutarlo a sanare la crisi in cui versa il rapporto con l’amata consorte, donna passionale, che ama la vita bella pur non volendolo riconoscere. Tra i due ormai non c’è alcun dialogo e la crisi è accentuata dal fatto  che la donna teme che il marito sia uno sfruttatore, in quanto non riesce a trovare una spiegazione plausibile al suo accettare  i soldi che gli vengono lasciati.

Di questo sono assolutamente convinti l’amante di lei ed il di lui cognato Saverio, figura moralmente squallida e bugiarda che tra l’altro sembrerebbe volere approfittarsi di Maria e che convince Alfredo a tornare nella casa coniugale, tutelando sorella e nipoti, dopo una delirante quanto inaspettata visita di questi – scambiati pure per fantasmi dal padrone di casa, complici tuoni e fulmini, in un’atmosfera spettrale – ai Lojacono.

Così vengono meno, con grande disperazione di Pasquale che si sente abbandonato dal suo spirito protettore, quelle piccole somme di denaro che gli permettevano di tirare avanti.

Inizialmente dubbioso, il pubblico, poi si stupisce per poi commuoversi ed anche intimamente risentirsi, dinanzi a tanta ingenuità/torpore di malapartiana memoria.

Il chiarimento fra i due coniugi, in cui la platea finisce con lo sperare intensamente, non arriverà, nonostante un confronto commovente, in cui Maria urlerà la sua offesa in quanto donna e moglie.

Pasquale non riesce a comprendere la realtà, intuisce altro, sbagliando, e conseguentemente altro  spiega, alimentando l’equivoco e convincendo la donna che la stia sfruttando.

Immancabilmente, Alfredo torna da Maria dopo due mesi di assenza penosa, e la convince a fuggire con lui. Ma Pasquale, che ufficialmente ha fatto credere alla moglie di essere partito per un breve viaggio, si apposta sul balcone e nella sera della sua presunta assenza, vede Alfredo che è venuto a prendere Maria, e lo scambia, convinto, ancora una volta per il generoso fantasma del nobile spagnolo. Disperato per l’incombente miseria (che ha ridotto la casa senza acqua né luce), lo prega di aiutarlo: gli rivela senza pudori la sua situazione economicamente drammatica di uomo onesto ma sfortunato, costretto a far vivere nelle ristrettezze perfino la moglie che adora, perché contrariamente alle sue aspettative non riesce a trovare clienti per la sua pensione, nella quale ha investito ogni suo pur misero avere.

Commosso da tanta devozione verso Maria, che lui stesso ama, Alfredo si rende conto all’improvviso di non avere il diritto di distruggere una famiglia per convivere con Maria, e per la prima volta parla a Pasquale. Si presenta a lui come un’anima vagante, ormai serena perché ha espiato la sua pena, e gli annuncia di avere deciso di donargli una generosa somma di denaro – con la quale avrebbe dovuto fuggire con Maria – che gli lascia, come annunciato, sul tavolo, salvandolo dal tracollo. Ma questo non basterà a rendere dignità a Lojacono, che continuerà a sperare, come suggerito dall’immateriale dirimpettaio, che il fantasma possa ancora apparire per risolvere i suoi guai.

Alla fine, Maria sceglierà in un efficace fuori programma, di andare via, sola, lontana dai due uomini, grazie ad una presa di coscienza che va a sanare una dignità femminile oltraggiata.

La protagonista, in questa reinterpretazione, per quanto abbastanza fedele al testo di Eduardo, è una donna che si scopre dunque a conclusione più indipendente e moderna.

Ella, ‘nel rivendicare rispetto, andrà via senza rimanere legata a nessuno dei due uomini che le ruotano intorno’, sottolinea Carolina Rosi che nella regia di Giordana ha puntato, certa che avrebbe ‘esaltato i valori e i contenuti, grazie alla sua capacità di sottoporre al pubblico, sia pure rispettando un copione intoccabile, il tutto sotto una nuova veste’ e che il regista avrebbe reso ancora una volta attualmente eterno ‘un testo che non teme il trascorrere degli anni, in quanto è impostato su di una vicenda d’amore e di sentimenti universali, senza tempo’.

L’attualità di ‘Questi fantasmi!’ è per me addirittura sconcertante,  dichiara Marco Tullio Giordana, che aggiunge: ‘emerge dal testo non solo la Napoli grandiosa e miserabile del dopoguerra, la vita grama, la presenza liberatrice/dominatrice degli Alleati, ma anche un sentimento che ritrovo intatto in questo tempo, un dolore che non ha mai abbandonato la città e insieme il suo controcanto gioioso, quello che Ungaretti chiamerebbe ‘l’allegria del naufragio’.

Il tipo incarnato da Pasquale Lojacono – replicato anche in altre figure della commedia – ‘con la sua inconcludenza, l’arte di arrangiarsi, la disinvoltura morale, l’opportunismo, i sogni ingenui e le meschinità, non è molto diverso dai connazionali d’oggi. La grandezza di Eduardo sta nel non ergersi a giudice, nel non sentirsi migliore di lui, di loro. Non condanna né assolve, semplicemente rappresenta quel mondo senza sconti e senza stizza. Il suo sguardo non teme la compassione, rifiuta la rigidità del moralista’.

Teresa Lucianelli

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