Parlare, da un un punto di vista politico-sociale, di una questione morale cinquestellata è parlare di giustizialismo maniaco e bipolare: i puri e i corrotti. Ovvero, i grillini da un lato, unici ed incontaminati, dall’altro gli altri: i corrotti. Pensate, ad esempio, alla loro piattaforma che prende il nome da Rousseau che sosteneva che l’uomo nasce buono ma viene corrotto dalla società, e solo con la ‘democrazia diretta’ sancita dalla ‘rete’ il singolo potrà essere rappresentato. Apparentemente edotta la teoria nella sua logica elementare: i buoni da un lato, i cattivi dall’altro. Una storica lavagna è tutto è fatto, sancito e diffuso: al posto della maestrina a lato della cattedra troviamo Di Maio, Grillo e Casaleggio.
Tutto è marcio: i partiti sono cloache, i sindacati inutili, ideologie e cultura politica del passato azzerata, ogni iniziativa diversa dal loro punto di vista è roba ammuffita. La logica politica dei cinquestelle non è niente altro che puro ‘solipsismo’.
I pentastellati vogliono una società compatta ed amorfa, spiccatamente individualistica. Assommano quindi i difetti del comunismo e del liberalismo. Purtroppo, nel loro fare rivoluzionario, ostentano ambiguità ideologica. Non si collocano né a destra né a sinistra e con fare salomonico dividono il mondo in due.
Qualunque partito, mediatore fra società e Stato; organismo mediatore della volontà popolare nel Parlamento, è corruttore per definizione, lo è geneticamente, anche se i suoi esponenti non rubano. Il Movimento Cinque stelle, sedicente non-partito, può violare sfacciatamente l’art. 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato: i suoi candidati a cariche elettive firmano contratti-capestro: in caso di dissenso devono pagare multe esorbitanti. Una volta eletti, i dissenzienti subiscono forme di mobbing, affinché si dimettano.
C’è da sottolineare che il Movimento 5 stelle è un partito-azienda: il logo e il simbolo appartengono più o meno direttamente a Grillo e a Casaleggio, e non alla generalità degli iscritti e dei gruppi dirigenti.
A ben guardare Grillo ha ripreso il modello antipolitico berlusconiano. Berlusconi era l’emblema dell’imprenditore prestato alla politica, uomo del fare in contrapposizione ai politici parolai, e si rivolgeva al ceto medio frustrato. Una rivoluzione borghese: l’imprenditore di successo dava voce e rappresentanza politica a chi si sentiva soffocato dall’egemonia comunista pur avendo una discreta posizione sociale.
Berlusconi prometteva una libertà canonica, quella neoliberale: basta con lacci e lacciuoli, l’imprenditore, emancipato dalla politica asfissiante, sprigionerà energie enormi.
Grillo come leader è completamente diverso: se ne infischia della coerenza ideologica: l’unico leitmotiv è il disprezzo per la democrazia rappresentativa e rivolge la sua predicazione alla massa informe, agli esclusi, agli emarginati: un profeta dell’anarchismo in salsa di rose che ha capito che la crisi della politica apre straordinarie opportunità e rende possibile un’utopia in linea con i tempi: una libertà nuova e inebriante: il cittadino o è del tutto autonomo o è soffocato da partiti e poteri forti.
Un antipartitismo radicale senza alcun obiettivo o base dottrinaria. Grillo, figlio della rivoluzione digitale, ha compreso che la rivoluzione digitale avrebbe sconvolto la politica tradizionale, che è fatta di riunioni, di tesserati, di correnti, di accordi, di gruppi dirigenti autonomi, di mediazioni. Il Movimento 5 stelle è il primo partito digitale, e la sua forza risiede nell’uso capillare dei social-media. L’ideale della democrazia diretta si sposa perfettamente con facebook: il click del mi piace è la nuova forma di consenso. Facebook e whatasapp consentono anche di propagare immagini e testi con velocità impressionante e mille attivisti possono raggiungere centomila persone in pochi secondi, ognuno diffonde il messaggio attraverso la propria rete di contatti, che si amplifica esponenzialmente tramite i contatti dei contatti.
I partiti tradizionali, detto in sintesi, hanno offerto il collo alla ghigliottina ‘grillina e populista’ che ha aumentato in modo esponenziale i propri seguaci e, più che probabilmente, risulterà il più votato il 5 marzo prossimo.
Il tutto finirà nelle mani del Capo dello Stato e i Cinquestelle troveranno un ‘alleato di governo’. C’è, a mio avviso, già chi scalpita, nella sua prateria, in attesa di questo momento.