‘L’Imperatore della sconfitta’ di Jan Fabre in scena al Teatro Brancaccino di Roma fino al 18 febbraio

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, le considerazioni di Roberto Staglianò su ‘L’Imperatore della sconfitta’ in scena al Teatro Brancaccino fino al 18 febbraio.

 

Al suo debutto, è andato in scena ‘L’imperatore della sconfitta’ di Jan Fabre dal 15 al 18 febbraio al Teatro Brancaccino di Roma con la traduzione di Giuliana Manganelli. La Manganelli scrive nella postfazione dell’edizione del ‘95: ‘Il suo teatro non costruisce favole, non rappresenta niente, non riproduce niente, semplicemente è. Subisce e trasmette la fascinazione del sublime, una sorta di estasi che genera la capacità di liberare implosione. L’effetto finale che Fabre ottiene è uno stato finale di ebbrezza erotica’.

Tra balbettii e barcollamenti, provando e riprovando – perché l’esercizio partorisce l’arte – all’imperatore della sconfitta, al piccolo clown che fa capriole sberleffi ma è il padrone del suo universo, il supremo regolatore di un microcosmo sull’orlo dell’implosione, forse alla fine nasceranno due ali tra le spalle.

La performance teatrale occupa un posto nell’ambito della rassegna di drammaturgia contemporanea ‘Spazio del Racconto’, giunta alla terza edizione. Ad accogliere l’ingresso in sala c’è un cuore rosso che batte in una leggera nuvola di fumo. Proiettato su un sipario trasparente che rimarrà per tutta la durata dello spettacolo e su cui verranno lanciate immagini, parole, messaggi e simboli. Pulsa il ritmo del suo battito. C’è un altro cuore aggrovigliato, un oggetto di scena posto al centro del palcoscenico, come se fosse un organo da sezionare e analizzare nel laboratorio scenico.

In scena ci sono Caterina Gramaglia ed Elena Arvigo che cura anche la regia e che è un’artista, uno spirito intenso come la sua voce e i suoi occhi.Jan Fabre ha dedicato ‘L’imperatore della sconfitta’ all’attore Marc Moon Van Overmeir, artista contemporaneo e visionario. Il testo fa parte di una serie di monologhi scritti tra il 1975 e il 1994 che sono stati rappresentati in tutto il mondo. Cosa dire di più su Fabre? Drammaturgo di origine belga, regista, performer, artista visivo, un punto di riferimento artistico. Ne ‘L’imperatore della sconfitta’ ha acceso una luce e puntato l’attenzione sul tema della sconfitta, del fallimento, come per esorcizzare un tema di attualità che è insieme anche un tabù in un’epoca in cui viene contemplato il successo come unica via di felicità. Le filastrocche popolari fiamminghe sono state sostituite con brani della nostra tradizione popolare che evocano la stessa intensità, il testo è continua evocazione del titolo

‘Come perdere per risorgere’ grazie alla forza individuale. I limiti dell’essere umano che diventano una risorsa, quando vengono riconosciuti, accettati e messi in gioco in una sorta di esercizio per riscattarsi dalla propria condizione. Poiché l’esercizio diventa arte e l’arte è insieme ricerca ed esercizio. La sconfitta è azione, è salire su e giù le scale, è camminare senza fermarsi mai, è ripararsi sotto un ombrello senza interrompere mai il moto del cuore e i flussi di pensiero. È un atto rivoluzionario poiché diventa il punto di rottura quando diventa rivincita e possibilità, un continuum. Del resto, senza la reiterazione della sconfitta non ci sarebbe nemmeno la possibilità di avere uno spazio di esistenza nel mondo. La sconfitta, dunque, viene concepita come come punto di partenza- l’alpha- e la conclusione di un percorso –l’omega. Forse alla fine del percorso all’uomo, all’attore, all’imperatore della sconfitta che seziona il cuore tirando fuori da esso la sua materia umana, spunteranno due ali che serviranno per volare. E le scale rappresentano la scalata dell’uomo verso il cielo, un luogo, uno spazio metafisico dove riporre con estrema fiducia il proprio cuore.

Foto Manuela Giusto e Agnesa Dorkin.

Roberto Staglianò

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