Come spesso succede in molte famiglie, nel momento in cui diventano anziani, i genitori sono soliti conferire la delega sul proprio conto corrente a uno dei figli (di norma quello più vicino o che si prende quotidianamente cura di loro). Si tratta di una facilitazione per effettuare più agevolmente le operazioni bancarie di ordinaria amministrazione come prelievi, versamenti, pagamenti delle utenze, delle tasse, ed altro. Può capitare, però, che il figlio se ne approfitti e, senza dirlo agli altri fratelli, sposti i risparmi in banca del genitore su un altro conto, magari il proprio. Che succede in questi casi? È legittimo spostare i risparmi in banca del genitore senza dirlo ai fratelli? E se anche il genitore fosse consapevole di tale condotta, gli altri figli devono essere messi al corrente dello storno delle somme? Avrebbero voce in capitolo per contestare tale condotta? È quello che cercheremo di spiegare in questo articolo. Ecco cosa si rischia a gestire il conto del genitore senza riferire ai fratelli.
Delega sul conto e cointestazione: che differenza?
Per poter spiegare quali conseguenze comporta lo spostamento dei risparmi in banca di uno dei genitori ad opera di un figlio dobbiamo fare alcune importanti premesse distinguendo l’ipotesi di delega sul conto corrente da quella di un conto cointestato.
Con la delega sul conto la proprietà delle somme non cambia; essa non è quindi una donazione della metà del deposito e il titolare del rapporto bancario resta sempre la stessa persona. Con la delega, pertanto, il delegato (ossia il figlio) deve sempre rendere conto al delegante (il genitore) delle operazioni compiute di propria iniziativa.
Esistono due tipi di deleghe: quella generale, data in via preventiva con riferimento a qualsiasi tipo di operazione, e quella speciale, conferita occasionalmente per le specifiche operazioni e ripetuta di volta in volta. Il problema, evidentemente, si pone solo nel primo caso, poiché nel secondo sarà la stessa banca a ostacolare l’operazione in assenza di un’autorizzazione del titolare del conto.
Nel caso di abuso di una delega generale, la banca non è responsabile e il genitore può chiedere al figlio di ripristinare il conto svuotato.
Diversa dalla delega è la cointestazione del conto la quale costituisce, di regola, una donazione del 50% dell’importo, salvo prova contraria. Se cioè si riesce a dimostrare che scopo del genitore non era quello di elargire un regalo ma solo di farsi coadiuvare nelle operazioni, l’intera proprietà del deposito bancario resta in capo al ‘primo’ intestatario (il genitore).
Come contestare la gestione del conto del genitore senza riferire ai fratelli
Sia nel caso di delega sul conto che di conto cointestato, se lo storno delle somme dal genitore al figlio, eseguito senza una delega o un’autorizzazione, avviene quando il primo è ancora in vita, i fratelli all’oscuro di ciò non possono fare nulla. Difatti, il titolare del conto è ancora il genitore il quale – se capace di intendere e volere – è l’unico legittimato a far valere i propri diritti e ad agire contro eventuali abusi del delegato o del cointestatario. Quindi, se il genitore non revoca l’operazione, non lo possono fare gli altri figli.
Se invece il genitore dovesse versare in una situazione di invalidità mentale tale da impedirgli di prendere coscienza della situazione i figli potrebbero chiederne l’interdizione o l’inabilitazione al tribunale oppure chiedere la nomina di un amministratore di sostegno. Sarà quest’ultimo a prendersi cura della tutela dei diritti dell’anziano e ad agire in giudizio contro il figlio che abbia svuotato il conto corrente.
Diverso è il caso in cui il genitore dovesse morire. In tale ipotesi, anche se lo spostamento dei soldi dovesse essere avvenuto prima della sua morte, gli altri fratelli avrebbero la possibilità di tutelarsi in due modi diversi.
Il primo è dimostrare che la cointestazione era solo una simulazione e non una manifestazione di una effettiva volontà di donare il denaro. In tal caso, i fratelli possono agire per chiedere l’integrale restituzione dei soldi e la divisione con tutti gli altri gli eredi.
Se invece i fratelli non dovessero riuscire a dimostrare l’intento simulatorio della cointestazione, questa resterebbe qualificabile come una donazione del 50% della somma. Allora potrebbero eventualmente verificare se la donazione ha leso la loro quota di legittima (la misura minima di eredità che spetta ai figli, ai genitori e al coniuge) e acquisire l’intera cifra per dividerla tra loro.
In ultima ipotesi, quand’anche questa strada non fosse percorribile, gli altri eredi potrebbero chiedere comunque la restituzione del 50% delle somme che, nonostante la cointestazione, erano rimaste nella proprietà del defunto (e che quindi sono passate in successione).