Il sociologo De Masi e il ‘lavoro spaccato’

Ezio Tarantelli venne ucciso il 27 marzo del 1985 dalle Brigate Rosse. Da economista, aveva contribuito alla definizione del meccanismo di raffreddamento della scala mobile che venne adottato da Bettino Craxi con il decreto di San Valentino (14 febbraio 1984) e che consentì di riportare sotto controllo l’inflazione che solo qualche anno prima aveva raggiunto il tetto del 20 per cento.

La scala mobile era uno strumento economico di politica dei salari  volto ad indicizzare automaticamente i salari in funzione degli aumenti dei prezzi, al fine di contrastare la diminuzione del potere d’acquisto dovuto all’aumento del costo della vita, secondo quanto valutato con un apposito indice dei prezzi al consumo.

La scala mobile misurava l’inflazione tenendo conto dell’aumento dei prezzi, ma senza considerare un altro parametro economico: l’aumento del Pil, che rappresentava il valore aggiunto per le aziende, oppure, in termini equivalenti, l’aumento della produttività del del lavoro.

Oggi, quando parliamo di lavoro, di costi del lavoro, di produttività, parliamo di disoccupazione, di delocalizzazione, di costi del lavoro più bassi, di disoccupazione giovanile arrivata a livelli stratosferici.

Il sociologo Domenico De Masi  spiega che per azzerare la disoccupazione basterebbe ridurre di quattro ore l’orario di lavoro settimanale: ad esempio, da quaranta a trentasei.

In sostanza, gli occupati verrebbero convinti a cedere quattro ore,  salario compreso,  invitando i disoccupati a lavorare gratis, o quasi. Se su tre milioni di disoccupati, uno decidesse di lavorare senza compenso, a quel punto il mercato verrebbe ‘spaccato’ e gli occupati, per non perdere il posto di lavoro, sarebbero obbligati a ridurre orario e salario facendo così posto ai disoccupati. A quel punto si avvierebbe un circolo che per De Masi è virtuoso,  ma per le persone sarebbe soltanto vizioso visto che inevitabilmente si aprirebbe una concorrenza al ribasso da un punto di vista salariale a tutto vantaggio dei datori di lavoro. Ora è evidente che esistono dei problemi oggettivi di ristrutturazione dei tempi e dei modi lavorativi, di risistemazione della nostra vita, ma è altrettanto evidente che bisogna risolverli, come sosteneva Tarantelli, salvaguardando la coesione sociale, cioè evitando pratiche che possano scatenare una ‘guerra tra poveri’ e l’ipotesi del sociologo qualche ‘non infondato’ timore da questo punto di vista lo sollecita. De Masi ha sintetizzato tutto questo in un libro,   offrendo  la sua consulenza al Movimento 5 stelle. De Masi, liberamente,  dice di ispirarsi a Keynes.

La nostra società è cambiata, sotto molti aspetti: non siamo più un paese di migranti ma un paese che accoglie i migranti, la nostra economia non è più agricola e siamo in piena globalizzazione, e la  crescita sociale e umana non è più  un punto di riferimento per la nostra democrazia.

Va recuperata una visione di Paese e di sviluppo che non ponga al centro solo l’efficientismo e la rapidità o il cambiamento a tutti i costi. In una fase politica e istituzionale come quella che viviamo, ribadire l’importanza della uguaglianza davanti alla legge, e la pari dignità sociale diviene operazione fondamentale. Rispetto dell’eguaglianza e delle diversità non sono contraddittori, ma due aspetti tra di loro ineliminabili.

La difesa della nostra democrazia non può prescindere dalla difesa della diversità e delle differenze attraverso la solidarietà. L’ultimo comma dell’art 118 della Costituzione riconosce il principio della sussidiarietà orizzontale, che è uno sviluppo della solidarietà irrinunciabile per garantire coesione sociale e unità, un aspetto questo poco attuale in un contesto come quello odierno.

La Costituzione italiana ha tra i suoi valori fondanti la solidarietà sociale, vero e proprio collante di una comunità territoriale che si riconosce nel rispetto di norme e valori condivisi. Al principio della solidarietà sociale è legato l’adempimento dei doveri inderogabili di carattere politico, economico e sociale: quindi i doveri fiscali, il principio della laicità dello Stato e il rispetto della diversità e delle idee altrui. La valorizzazione della solidarietà sociale, in un contesto normativo che la sancisce, spetta alla politica che può e deve promuoverla nelle sue varie forme.

I partiti hanno assunto nel tempo il ruolo di cinghia di trasmissione fra la società civile e gli apparati istituzionali. Negli anni abbiamo assistito ad una loro trasformazione, spesso non felice, e mi riferisco ai casi di occupazione del potere o di partiti personalistici o carismatici. Oggi si reclama una maggiore trasparenza nei loro processi decisionali e una effettiva democrazia interna: aspetti, questi, mai attuati, come invece richiede la Costituzione. L’articolo 49 della Costituzione, per il quale tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente nei partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Sono dunque insostituibili, anche se in forme nuove,  ad esempio i movimenti,  rispetto a quelle tradizionali. Molto comunque si può e si deve fare per aumentare il tasso effettivo di democrazia e partecipazione.

Lo Stato ha il compito di creare le condizioni migliori che favoriscano l’occupazione. Non è un caso che il primo articolo della Costituzione reciti che ‘l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro’. Valore del lavoro, della dignità della persona e della sua piena realizzazione umana e sociale, sono legati. Oggi siamo al centro di trasformazioni epocali, che riguardano la delocalizzazione della produzione, la robotica, la digitalizzazione e le loro implicazioni sulla domanda e sulla offerta di lavoro, l’uguaglianza della retribuzione tra uomo e donna, gli incidenti sul lavoro, la coesistenza del diritto al lavoro con quelli alla salute ed al rispetto dell’ambiente, come nel caso dell’Ilva di Taranto e di molti altri. La funzione dello Stato in materia di lavoro, come saggiamente riconosciuto dalla Costituzione, è quello della mediazione tra le parti e di tutela della parte debole, cioè il lavoratore.

 L’Italia oggi è economicamente divisa tra un Nord che procede ad una velocità maggiore rispetto ad un Sud immobile su cui grava l’assenza di infrastrutture adeguate. Sulle carenze del Mezzogiorno hanno pesato la criminalità organizzata, le responsabilità di una classe dirigente locale e nazionale spesso non all’altezza, l’adozione di politiche economico-industriali poco avvedute e la soluzione, ‘avveduta’, non la si troverà certo nelle elucubrazione del sociologo De Masi.

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