Il risultato di Orbàn con affluenza record (68,8%, l’8 in più delle scorse elezioni), Fidez al 49, gli ultra nazionalisti di Jobbik al 20 e i rosso-verdi al 12, dice il chiaro.
Il patriottismo antitotalitario di Orbàn è in sintonia con il sentimento nazionale con aiuti alle famiglie, pensioni, sussidi per la natalità, unite ai risultati di una strategia economica attenta all’interesse nazionale.
Dal 2010 Orbàn ha incentivato gli investimenti stranieri con una tassazione del 9% del reddito delle imprese, la più bassa in Europa, conservando al tempo stesso il controllo su settori chiave come le utilities, l’energia, le costruzioni e le banche rimaste sotto il controllo dello Stato per almeno il 50 per cento. Una ricetta che gli è valsa l’ostilità di Bruxelles, e di Soros, ma che si è rivelata sui tempi medio-lunghi vincente.
Senza cedere pezzi di sovranità agli orgasmi internazionali e alla speculazione finanziaria, l’Ungheria è oggi uno dei Paesi dell’Europa centro-orientale che attraggono più investimenti diretti, con uno stock superiore agli 80 miliardi di euro. Come spiegava al Sole 24 Ore l’ambasciatore italiano a Budapest, Massimo Rustico: ‘Le imprese straniere, soprattutto quelle tedesche, austriache, americane e anche molte italiane scelgono di investire in Ungheria guardando al costo del lavoro, alla qualità della manodopera, alla posizione geografica e alle prospettive di sviluppo dei mercati dell’area. Orban guarda ai suoi interessi ma sostiene il business’.
Il destino dell’Ungheria è nell’apertura internazionale, le esportazioni nel 2017 sono cresciute dell’8,5% e hanno superato i 100 miliardi di euro, il 90% del Pil. E l’Italia, con un interscambio di 9,5 miliardi di euro, è il quarto partner commerciale di Budapest.