Il cellulare non smette di squillare. ‘Ora siamo diventati famosi’ dice all’Adnkronos con un sorriso amaro l’ex rider di Foodora, il 26enne Riccardo che con altri 5 suoi colleghi ha fatto causa alla sturtup tedesca, contestando l’interruzione improvvisa del rapporto di lavoro, dopo la mobilitazione del 2016. Il tribunale di Torino ha dato ragione, però, all’azienda sostenendo che i fattorini sono autonomi a tutti gli effetti, riconoscendo come dice Foodora in una nota ‘la specificità del nostro business’. Restiamo in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, scrive Foodora, ma ribadiamo come nessun rider sia stato licenziato e a tutti è stata data la possibilità di rinnovare il contratto in scadenza. Una battaglia persa, ma non la guerra per i legali dei fattorini, Giulia Druetta e Sergio Bonetto, che annunciano: ‘Faremo ricorso’.
Per fare il rider basta avere un mezzo e uno smartphone. ‘Ho iniziato in scooter e, poi, mi sono reso conto che passavo tutte le settimane dal meccanico a spese mie e, allora, ho pensato di passare alla bici. Devi essere all’orario di inizio turno nella piazza in cui ti puoi attivare, io partivo sempre da Porta Susa. Non c’è un cartellino, ma un log-in con la App e, poi, si aspettano gli ordini. Se arrivano, si pedala.
La media è di 15 chilometri al giorno, ma dipende dalla serata. ‘C’è il giorno della partita in cui ti fai 40 chilometri e il sabato sera in cui c’è una bella temperatura, la gente esce e nessuno ordina. Guadagnavo una media dai 400 ai 600 euro al mese con un contratto di collaborazione. Cinque o sei giorni alla settimana, quattro ore al giorno in media, racconta Riccardo: ‘Il pagamento ai tempi, lavoravo per loro nel 2016, era di 5.60 euro netti all’ora. Adesso è peggio perché guadagni a consegna. A far nascere il problema è stato il confronto con quanto prendevano i colleghi di Milano. Parlando abbiamo scoperto che a loro davano 7.50 all’ora, in pratica 2 euro in più, e abbiamo pensato di chiedere lo stesso trattamento con una lettera collettiva, ma non hanno gradito. Ci hanno licenziato di fatto, semplicemente, non confermando via App i turni per cui davamo la nostra disponibilità’. Accusa però respinta da Foodora che ribadisce come nessuno sia stato licenziato e a tutti è stata data la possibilità di rinnovare il contratto.
I rider con Foodora hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, spiegano dall’azienda, a differenza di collaborazioni in ritenuta d’acconto o con partita IVA (usate da alcune società concorrenti) prevede importanti tutele come i contributi Inps e l’assicurazione Inail in caso di infortuni sul lavoro, oltre a una polizza assicurativa in caso di danni contro terzi.
La questione dei rider, fattorini in bici o motorino, rientra nel discorso più ampio della cosiddetta ‘gig economy’ossia l’economia di quei lavoretti, fatti di solito dai giovani per arrotondare, ma che possono trasformarsi in altro sia per la disoccupazione che per la difficoltà di arrivare alla fine del mese. Le problematiche sono tante, tutte diverse, per questo i rider italiani si riuniranno domani a Bologna in assemblea nazionale per tentare di conoscersi e definire obiettivi comuni: ‘Chiediamo un’indennità di manutenzione, legata ai chilometri percorsi. Ora è a carico nostro’.
Le big della ‘gig’ economy sono tantissime. I nomi li avrete sentiti e non si tratta solo di Foodora. C’è Deliveroo, Glovo, Just Eat e molte altre. Sono in tutto il mondo, non solo in Italia e a seconda del Paese cambia anche il trattamento. In alcuni vengono riconosciuti come subordinati, mentre in altri risultano autonomi. In Germaniagli stessi fattorini di Foodora hanno un contratto di lavoro subordinato che si chiama ‘minijob’ e che dà accesso al salario minimo con assicurazione e un trattamento previdenziale differenziato, dice all’Adnkronos Valerio De Stefano, docente di Diritto del Lavoro alla storica università di Lovanio a una trentina di chilometri da Bruxelles in Belgio.
In Austria partecipano alle decisioni aziendali con una rappresentanza sindacale. In Belgio, aggiunge il docente, c’è stata una commissione che ha riconosciuto la subordinazione dei rider, questa volta di Deliveroo, mentre a Londra il giudizio è stato opposto. Per quanto riguarda l’Italia in particolare, sottolinea il professor De Stefano, originario di Reggio Calabria, non significa che la questione finisce qui dopo la sentenza del tribunale di Torino. Queste sono categorie molto deboli, che non hanno potere contrattuale con le piattaforme e credo debbano essere tutelati. C’è bisogno di una riflessione anche da parte del legislatore. Non sono l’architetto, l’avvocato, il notaio, professioni tipicamente autonome, conclude: ‘Sono nuovi modi di lavorare, che magari non corrispondono a quelli del passato, ma hanno lo stesso bisogno di garanzie dei lavoratori tradizionali’.