Si riprende a trattare questa mattina, tra mille incognite, tra cui quella che riguarda la gestione delle prossime 350 nomine in scadenza a fine giugno nelle partecipate dello Stato, nella Cassa depositi e prestiti e in altri ambiti, il reticolo del potere nel ‘sistema Italia’, poltrone forse più ambite dalle parti di quelle del prossimo, futuribile esecutivo giallo-verde. L’obiettivo dichiarato è di chiudere entro domani, poi parleranno i militanti e ‘solo dopo faremo i nomi’, ha giurato Salvini.
L’accordo non c’è. E nemmeno c’è il nome del premier del governo giallo-verde. Quello a cui M5S accenna fa storcere il naso alla Lega che aveva in tasca un altro identikit, e comunque nessuno dei due candidati avrebbe il ‘profilo istituzionale’ necessario in questo caso. Il capo dello Stato, per quanto irritato, non ha intenzione di concedere alibi ai due interlocutori: non vuole, cioè, che la responsabilità di un’eventuale rottura possa essere addebitata a lui. Perciò dà qualche giorno in più. Fermo restando, però, che se la trattativa dovesse, per un motivo o per l’altro, fallire tornerebbe fuori dal cassetto il governo ‘neutro’. Consumato anche questo terzo e ultimo tentativo tra 5 Stelle e leghisti, a quel punto sarebbe molto più complicato bocciare un esecutivo che nascerebbe con l’obiettivo principale di fare la manovra economica, sterilizzando l’aumento dell’Iva. Una proroga di una settimana, tra l’altro, risolve il problema del voto in estate perché chiude definitivamente la finestra di luglio, dato che tra scioglimento delle Camere e apertura delle urne devono passare almeno due mesi.
In atto c’è un sovvertimento delle procedure fin qui seguite. Ad esempio, sul programma: tradizionalmente, ne parlava il premier incaricato con la sua maggioranza. Ora invece non solo viene contrattato dai leader dei partiti, ma pure sottoposto a un doppio sondaggio con le rispettive basi elettorali. Eppure, il capo dello Stato nemmeno entra in questo campo: non è il momento di formalizzarsi davanti a sgrammaticature istituzionali. Anche perché l’approccio di Mattarella un effetto l’ha prodotto: mostrare all’opinione pubblica la capacità di partiti e leader di chiudere un accordo senza perdersi in chiacchiere. Ragion per cui, ancora una volta, il Presidente sceglie di muoversi con la massima cautela, concedendo tempo. Non tutto il tempo del mondo: quello necessario a capire se i due vincitori delle elezioni del 4 marzo fanno sul serio oppure no.