Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, sara’ in Asia orientale da oggi fino all’8 ottobre prossimo, per valutare di persona i “progressi” nella situazione nord-coreana e incontrare i principali partner della regione. Pompeo si e’ detto “ottimista” rispetto al prossimo viaggio in Corea del Nord, dove sara’ domenica prossima, nonostante alcuni segnali non propriamente positivi siano arrivati negli scorsi giorni dal regime di Kim Jong-un. “Torneremo indietro con maggiore comprensione, progressi piu’ profondi e un piano per il futuro, non solo per il summit tra i due leader”, aveva detto Pompeo mercoledi’ scorso dopo l’annuncio del viaggio a Pyongyang, il quarto in meno di un anno e il terzo da quando ha assunto la carica di capo della diplomazia Usa, “ma anche per proseguire negli sforzi per creare un cammino per la denuclearizzazione”. Tra i temi della visita ci sara’ anche la possibilita’ di un secondo summit tra il presidente Usa, Donald Trump e il leader nord-coreano, Kim Jong-un – di cui Trump ha dichiarato di recente di essere “innamorato” – dopo il primo storico incontro a Singapore, il 12 giugno scorso, durante il quale Stati Uniti e Corea del Nord hanno raggiunto un accordo di massima sulla “completa denuclearizzazione” della penisola coreana. Addirittura, secondo quanto dichiarato in forma anonima da un funzionario della Casa Blu, l’ufficio presidenziale sud-coreano, il secondo vertice tra Kim e Trump potrebbe avvenire prima del prossimo 6 novembre, quindi prima del banco di prova delle elezioni di mid-term negli Usa.
Negli ultimi mesi, pero’, il dialogo tra Washington e Pyongyang e’ andato incontro ad alti e bassi: lo stesso Trump, ad agosto scorso, aveva cancellato un viaggio gia’ annunciato da Pompeo in Corea del Nord, per la mancanza di progressi sul piano della denuclearizzazione. Solo alcune settimane piu’ tardi, in vista del summit di Pyongyang con il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, Kim aveva ribadito l’intenzione della Corea del Nord di smantellare il proprio programma nucleare: entro il primo mandato presidenziale di Trump, aveva detto non senza destare sorprese, ovvero entro il gennaio 2021. L’impegno della Corea del Nord era stato ulteriormente chiarito proprio in occasione della visita di Moon a Pyongyang, durante il quale i leader delle due Coree si sono impegnati a favore di una penisola coreana libera dalla minaccia nucleare, oltre a fissare altri obiettivi per la pace nella penisola. Il regime di Kim Jong-un, chiede, pero’, agli Stati Uniti, “misure corrispondenti” al proprio impegno per l’abbandono dell’arsenale nucleare, compreso lo “smantellamento permanente” della centrale di Yongbyon. Il mese scorso, all’Assemblea Generale dell’Onu, a New York, il ministro degli Esteri nord-coreano, Ri Yong-ho, aveva detto esplicitamente che per aumentare il tasso di fiducia di Pyongyang in Washington occorreva un accordo per arrivare alla fine delle sanzioni. “Il problema e’ che e’ le prolungate sanzioni stanno approfondendo la nostra sfiducia”, aveva detto. “Senza fiducia negli Stati Uniti, non ci sara’ fiducia per la nostra sicurezza nazionale, e in queste circostanze e’ impossibile che ci disarmeremo per primi”.
Di diverso avviso era, pero’, Trump, che nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pur ringraziando pubblicamente Kim “per il coraggio e i passi intrapresi”, aveva ribadito che “le sanzioni rimarranno fino alla denuclearizzazione”. Attraverso i suoi maggiori organi di stampa, il regime di Kim Jong-un ha mandato recentemente alcuni messaggi sulle posizioni della Corea del Nord. Ieri, il maggiore quotidiano nord-coreano, il Rodong Sinmun, in un editoriale di giovedi’ scorso sottolineava che la fiducia reciproca tra Stati Uniti e Corea del Nord e’ “la premessa fondamentale” per la denuclearizzazione della penisola coreana e che le sanzioni a cui e’ sottoposta Pyongyang sono “una delle cause fondamentali” che minano la fiducia del regime in Washington. Martedi’ scorso, invece, la Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa nord-coreana, aveva messo nero su bianco che la fine della guerra di Corea, terminata nel 1953 senza un trattato di pace, ma solo con un armistizio, “non e’ un regalo” e non e’ neppure “una pedina di scambio per ottenere una Repubblica Democratica Popolare di Corea”, il nome ufficiale della Corea del Nord, “denuclearizzata”. Yongbyon, al contrario, nello stesso editoriale, veniva definita un impianto “chiave” per lo sviluppo del programma nucleare della Corea del Nord, che potrebbe contare gia’ oggi, in base a stime dell’intelligence di Seul, su un numero di testate atomiche comprese tra le venti e le sessanta, secondo quanto dichiarato lunedi’ scorso – forse involontariamente – dal ministro per l’Unificazione sud-coreano, Cho Myoung-gyon, durante un’interrogazione parlamentare.