Disperazione e riscatto di un popolo oppresso dalla malavita

Al Bellini di Napoli, Fronte del porto di Alessandro Gassman

Stagione di qualità per il teatro Bellini: nomi di spessore, interessanti spettacoli originali, altrettanto interessanti riscritture di grandi classiciIn scena fino al 25 novembre, Fronte del porto, diretto da Alessandro Gassman, impegno del noto e apprezzato regista e attore, dopo l’eccezionale riscontro di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, nuovamente con un Daniele Russo perfettamente immerso in questa storia truce, resa ancora più intensa dall’ottima fusione tra teatro e cinema, dai riadattamenti e dalle contaminazioni.

Fronte del porto indaga la condizione dei lavoratori del porto della Napoli degli anni Ottanta, vessati e ingoiati da un sistema malavitoso e suscita nella mente dello spettatore una riflessione terrificante sulla corruzione, lo sfruttamento e la malavita che incancreniscono territori, schiavizzano esseri umani, segnano e distruggono vite. La storia dell’americano Budd Schulberg, ispirata da un’inchiesta giornalistica su cui si imperniò la sceneggiatura del film di Elia Kazan, che porta esattamente lo stesso nome, ‘On the waterfront’, vincitore di ben otto Oscar nel 1954, è stata riadattata per il teatro da Enrico Ianniello, sulla base originaria.

In un legame intrinseco che accomuna umanità svilite e oppresse, sfruttate e mortificate e finalmente coscienti della indispensabile necessità di giustizia e libertà da pagare anche al costo altamente probabile della vita, dall’americana New York, giunge sulle coste della Napoli di circa quarant’anni fa – entrambe città di mare, così diverse, eppure così simili, connotate da condizioni di vita umanamente simili – battuta dal vento e afflitta dalla miseriaParlano da soli i costumi, ma soprattutto le scene che risultano di grande impatto e suggestione e aggiungono tormento e bellezza al lavoro.

Uomini ridotti a burattini, che si affannano in una selva oscura di capannoni, container e magazzini – che ricorda i più tenebrosi gironi danteschi – sulle banchine di un porto dove la camorra è padrona e la violenza è legge, all’affannosa e disperata ricerca di un ingaggio di una sola giornata, per guadagnare quelle poche migliaia di lire indispensabili per portare da mangiare a casa, senza doversi rivolgere ancora una volta ai soliti cravattari (strozzini) indebitandosi ulteriormente. E la speranza sale ogniqualvolta una nave carica giunge in porto. Lavoratori quasi senza voce, spezzata come le loro vite, pur’esse troncate da un’ “accidentale” caduta dall’ultimo piano, che accidentale non è affattoDa due container che si scontrano non si sa come.. da una raffica di pallottole o di coltellate micidialmente assestate. Perché parlare come un “cardillo” o volerlo fare, costa molto caro e si paga con la morte.

Mani spellate e respiro mozzato: i manovali americani non sono differenti da quelli napoletani, abbrutiti dalla tragicità delle loro esistenze, votati al sacrificio, alla morte lenta che avanza giorno dopo giorno, quando non giunge per mano dei sicari.

Sono creature umane del Novecento ma assomigliano di più alla plebe schiavizzata delle civiltà antiche o ai servi del Medioevo, a metà tra uomini e bestie.

L’eccellenza degli attori – Daniele Russo in primis – rasenta la spiritualità che trionfa sull’animalità, pur nella sua crudezza che a tratti fa accapponare la pelle e, in alternanza, nutre la speranza della consapevolezza e del riscatto, tra aberrazione e disperazione.

La sensazione che si prova da spettatori, è quella di trovarsi proiettati in un’altra dimensione, in un’altra epoca, catapultati in una situazione da incubo, esposti al freddo e alla durezza delle banchine del porto, con il vento gelido che taglia il viso, il fiato che manca, l’angoscia nel cuore, mentre le tempie pulsano per lo sgomento.

Estremamente efficaci gli effetti scenici, sapienti i giochi di luci grazie ai quali la scenografia diventa come reale, tanto che le onde arrivano ad increspare il palco e sembrano divorare l’orizzonte, i grigi capannoni per il rimessaggio.
Acqua torbida come l’angoscia, come la coscienza degli assassini.

Nel connubio tra cinema e teatro sono riprodotti fedelmente i vicoli napoletani, il “vascio” (terraneo), il balcone con i panni stesi. La storia si snoda tra la baraccopoli di Calata Marinella, la Chiesa del Carmine, il molo Bausan, la Darsena Granili e l’avveniristica Casa del Portuale di Aldo Rossi.

La firma di Gassman nella regia emerge dall’inizio, come la narrazione ordinata e lineare. Al centro, la condizione dei lavoratori del porto della Napoli anni ’80 che si presenta subito nella sua crudezza con l’uccisione spietata di Giuseppe Caruso, buttato giù dalla sua abitazione all’ultimo piano perché aveva trovato il coraggio di ribellarsi ai soprusi del boss Giggino Compare, detentore di tutti gli “affari” e i traffici illeciti del porto, e della vita stessa e della morte dei lavoratori, ricattati continuamente, sottoposti all’ umiliazione di elemosinare una giornata di lavoro, ingannati dalla promessa di ottenere un posto.

Un boss protetto dai suoi scagnozzi, a partire dal cugino Carluccio il Galantuomo, pronti a eliminare gli elementi di disturbo, ossia coloro che non sono disposti ad accettare una vita da schiavi, senza dignità e senza speranza e innanzitutto quelli disposti a spifferare le sue infamie dinanzi al procuratore, ovvero a cantare come un cardellino, figura delicata e perno della logica camorristica che giustifica l’omicidio di chi vuol parlare, rivelare prepotenze e infamie.
Giuseppe Caruso amava i cardellini e li allevava; come un cardellino aveva “cantato” facendo nomi e denunciando responsabilità e come un cardellino era volato giù, spiaccicandosi in strada.

Suo padre Mario si strugge dinanzi al corpo martoriato del figlio, eroe riverso a terra inerme e in una pozza di sangue, senza riuscire a capire perché il Giuseppe abbia scelto di opporsi alla malavita, rischiando e perdendo la vita. Per lui, gli eroi stanno nei libri, nelle vite dei santi e nei film. Nella realtà le cose vanno diversamente. Nonostante l’orrore, non ha il coraggio di alzare il capo e continua ad accettare i soprusi. Per lui, è la volontà del Signore se Giuseppe è morto.

Non è così per Erica, sorella di Giuseppe Caruso che esige la verità ad ogni costo: lei non ha paura, sarà lei a scoprire la verità che ha fatto stramazzare suo fratello al suolo, a capire chi fatto precipitare in un volo pindarico quel cardellino che aveva cantato nomi e fatti. Lei che sul porto non ci è mai stata, ci va, decisa a rompere il muro di omertà e alla fine ci riesce con la forza del bene che sempre trionfa, in un modo o in un altro, anche a costo del sacrificio di vite innocenti.

Bravissima Francesca De Nicolais, nei panni di Erica, intensa, appassionata, pulita e vera, ricorda Santa Teresa d’Avila ardente del fuoco sacro, la Maddalena ai piedi della Croce, Giovanna d’Arco pronta al martirio. Fedele al suo ruolo di brava ragazza educata dalle monache eppure così determinata nell’esigere giustizia, palpitante e innamorata, fiduciosa nel trionfo del bene, agguerrita nelle espressioni della lingua napoletana che aggiungono carnalità al personaggio, voce di un popolo maltrattato e sfruttato.

Ma è la lingua italiana che emerge nei momenti critici e che viene usata da Don Bartolomeo, prete che conquista coraggio e consapevolezza del suo compito grazie alle sollecitazioni di Erica, e decide di combattere il “Sistema”.

Il personaggio chiave, d’impostazione pasoliniana, è Francesco Gargiulo, efficacemente interpretato da Daniele Russo. Giovane difficile, ex pugile suonato, portato al fallimento umano oltre che lavorativo, da un fratello corrotto e schiavo dei voleri del boss Giggino che gli aveva imposto di perdere l’incontro col quale avrebbe conquistato il titolo, raggiungendo il successo, perché aveva scommesso per interesse sulla vittoria del suo avversario.

Così, la violenza perpetrata da Giggino Compare su Francesco è distruttiva, sottile e di natura psicologica: Francesco viene privati dei suoi sogni, delle sue aspirazioni dal boss e delle sue velleità, ridotto a una nullità, senza alcuna autostima, un reietto condannato a sopravvivere grazie alle intercessioni del servile fratello Carluccio nei confronti di Giggino, diventando “roba” sua, condannato ad accontentarsi di lavori mediocri al porto, mentre suo fratello Carluccio gira assieme al suo protettore in abiti costosi pagati con il pizzo imposto ai lavoratori.

Francesco rappresenta il personaggio più complesso, con la sua avvilente disperazione e la sua rabbia che diventa amore per Erica e qui di coraggio di spezzare le catene e tracciare la strada del riscatto per sé e la sua gente che è anche giustizia per i massacri degli amici. È proprio Francesco, roba di Giggino, e pure di suo fratello, che gli ordina continuamente cosa fare, ma lo protegge pure dal sanguinario cugino, che determina il cambiamento, la grande svolta del suo popolo.

“Io potevo essere meglio di così” grida Francrsco disperato al fratello Carluccio, ricordandogli l’infanzia subita, la sua carriera stroncata, la fine delle sue ambizioni, l’inizio del suo degrado.

Parole che fanno gelare il sangue, che tolgono il fiato, che gridano vendetta, che annunciano il trionfo inarrestabile del bene sul male, della libertà per tutti i manovali del porto.

Tormento e rivalsa resi alla perfezione da Russo, vibrante e drammatico, dannato e redento, dalla corporalità magnifica e convincente.

Una presa di coscienza liberatoria e potente, sollecitato dalla purezza di Erica e dall’amore ricambiato per lei: una speranza di autentica vita, la riconquista di un obiettivo degno dell’esistenza, per emergere dalle acque agitate e torbide del porto nelle quali stava annegando e tornare a respirare, raccogliendo tutte le sue forze, dopo aver subito un pestaggio feroce e spietato dagli sgherri di Giggino, da lui inchiodato con una deposizione chiave che è anche piena confessione dei suoi errori e denuncia degli inganni subiti. Conscio finalmente che la testimonianza è un’arma più potente di qualsiasi pistola.

Così Francesco, pesto e traballante, vince il dolore e si rialza per guidare la sua gente alla conquista della forza di reagire e uscire dall’omertà che è conquista della libertà

Fronte del porto, di Budd Schulberg con Stan Silverman, traduzione e adattamento Enrico Ianniello, con Daniele Russoe Antimo CasertanoOrlando CinqueSergio Del PreteFrancesca De NicolaisVincenzo Esposito, Ernesto LamaDaniele MarinoBiagio MusellaEdoardo SorgentePierluigi Tortora, Bruno Tràmice

scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
luci Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
sound designer Alessio Foglia
uno spettacolo di Alessandro Gassmann
coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Catania

Teatro Bellini, fino al 25 novembre
Prezzi: da €14 a €32 – 15€ Under29 tutti i giorni della settimana
Orari: feriali ore 21:00, domenica ore 18:00 – mercoledì 7/11 ore 17:30 – giovedì 15/11, giovedì 22/11 e sabato 24/11 ore 19:00 – sabato 17/11 ore 17:30 – lunedì riposo

Teresa Lucianelli

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