Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Barbara Lalle il seguente articolo:
Mercoledì 21 novembre nella suggestiva cornice del cortile della Domus Romana ha avuto luogo il vernissage di ANAGRAMMI Mostra Fotografica e di Arte Multimediale a cura di Oriana Picciolini per Eudaimonia Event
Incontro Michele Baruffetti, Cristina Eidel e Kostas Papaionnou, gli artisti coinvolti, insieme alla loro curatrice, nel pieno centro storico di Roma nell’ex convento benedettino del Settecento sito a Via delle Quattro Fontane che grazie alla sensibilità della curatrice Oriana Picciolini e alla sua passione per l’arte, è divenuto un fresco spazio di incontro tra artisti e il pubblico.
Siamo seduti, ho preferito venire per la fine della mostra così che i visitatori defluiti, mi lasciassero lo spazio per fermarmi a chiacchierare con i protagonisti.
La prima a cui porre qualche domanda è alla curatrice:
Oriana, soddisfatta del vernissage? Cosa hai presentato qui di nuovo, diverso. Cosa ha visto il pubblico questa sera?
L’idea di “Anagrammi”, la tripersonale di Michele Baruffetti, Cristina Eidel e Kostas Papaionnou, e’ nata dall’incontro casuale ma inevitabile di 3 artisti, le cui opere all’inizio sembravano entità’ separate, frutto di singoli percorsi e delle loro personali ricerche.
Lo spunto iniziale della mostra, e’ nato da” Medianica”, opera multimediale di Michele Baruffetti, che a settembre ha realizzato la musiche per l’esposizione “La Quinta Essenza”, sempre da me organizzata. I suoi territori e le sue dimensioni altre, ai mie occhi, si legano ai paesaggi bloccati nel tempo del fotografo greco Kostas Papaioannou. Le sue immagini in bianco e nero di luoghi, che hanno perso la loro identità funzionale, sembrano evocare la possibilità di riscrivere la grammatica della loro storia. La presenza delle foto di Cristina Eidel è stata poi la chiusura naturale dell’intero percorso. I particolari tanto raffinati quanto persi di un posto che ha smarrito il suo animus, tendono ad un altrove immaginato e desiderato.
Il filo che lega le opere esposte: l’essere attraversate tutte da un’assenza, che rivela attraverso una rilettura una presenza più acuta.
Cosa invece hai visto nel pubblico? Che tipo di risposta hai avuto a questa proposta?
La saturazione di immagini a cui siamo sottoposti, non è ancora riuscita a spegnere lo stupore, che proviamo ogni qualvolta osserviamo e riconosciamo ciò che è bello. Questa emozione, accompagnata ad una familiarità e all’agio di ritrovarci in un insieme coerente con il contenuto sono le variabili più importanti, che ci hanno ripagato dell’impegno e della cura che abbiamo profuso in questo viaggio.
Rivolgo a Kostas Papaioannou un paio di domande:
Emerge una sorta di attenzione e sensibilità verso temi di etici e sociali che caratterizza il tuo percorso umano. Cosa ti coinvolge maggiormente come persona e come artista?
In questi lavori che vengono esposti nella mostra Anagrammi, ci si sofferma attorno ai luoghi – testimonianze di una presenza e attività umana che appartengono al passato. Si può dire, e si cerca di dire; fermiamoci un attimo e rivolgiamo lo sguardo verso quel che siamo stati. C’è una dimensione umana in tutto quello che avvolge le testimonianze del nostro passato e proprio quel passato può costituire una splendida occasione di narrazione, testimonianza e riflessione sia per il presente sia per il futuro.
Si tratta di un tentativo di rivisitare con un occhio critico e attento quel che siamo stati indagando attraverso i frammenti, direi congelati nel tempo, che ci offre il linguaggio della fotografia, dentro le nostre realtà identitarie…. Questi luoghi fotografati e stampati in bianco e nero, offrono a noi spesso distratti osservatori, la loro “anima”…
Il “silenzio” di questi luoghi ormai abbandonati, presenti nei miei scatti fotografici, si ripresentano riacquistando una loro dimensione identitaria. Quel che in un primo momento appare superato, scaduto o emarginato, potrebbe offrire una nuova occasione di arricchimento della memoria. Una memoria che non può non rappresentare uno strumento indispensabile nel tentativo sincero di riappropriazione della nostra stessa umanità ed eticità.
Ci sono persone, incontri e “maestri” che hanno contribuito a migliorare o perfezionare la tua sensibilità artistica? Cosa ti hanno lasciato in relazione al lavoro che hai presentato oggi?”
Sono stati tanti i “maestri” che osservando e studiando il loro lavoro hanno contribuito alla mia formazione fotografica e di stampatore – mi piace considerami un artigiano piuttosto che un artista – con i procedimenti analogici in bianco e nero. Da un amico vecchio fotografo in Grecia, che mi invitava a lasciare la macchina fotografica a casa e osservare i luoghi e gli uomini con i miei occhi e la mia mente prima di ogni scatto, ai grandi della fotografia e della stampa in bianco e nero come Andel Adams e il suo sistema zonale oppure Gabriele Basilico con i suoi splenditi lavori di architettura urbana ed industriale. Mi ha sempre colpito profondamente il lavoro di Mario Giacomelli e le sue parole: “… Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco mangiato, il nero chiuso sono come esplosione del pensiero che dà durata all’immagine, perché si spiritualizzi in armonia con la materia, con la realtà, per documentare l’interiorità, il dramma della vita. Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione tra luce e neri ripetuta fino a significare…”
Un ruolo determinate nell’apprendimento della fotografia e della stampa ha avuto e continua ad avere il mio caro amico Manfred Eidel (alcune sue immagini potete visionare nel seguente link:https://bwphotos.eu/images-of-the-photographer-manfred-eidel).
Con Manfred Eidel abbiamo anche percorso, condiviso e fotografato insieme i luoghi di archeologia industriale di Lavrio in Attica e quelli della Germania che esponiamo nella mostra.
Manfred Eidel, del quale parla Kostas, è il padre di Cristina Eidel, al quale anch’essa deve la sua formazione come fotografa, ma anche la passione per questo mezzo e sopratutto la sua sensibilità artistica. E’ lui, che le ha insegnato a vedere. Cristina ho esposto qualche anno fa, alcune delle sue foto e lei piacerebbe fare una mostra per lui. E’ stato direttore del BN della casa editrice Burda in Germania.
Ciao Cristina, qualcosa che ti va di condividere: non una biografia, non la risposta a “Che cosa volevi fare da grande” ma qualcosa tra sogno e realtà, momenti, fatti e circostanze da ieri a oggi.
Più che di sogno, parlerei di desiderio. E’ un continuum spazio-temporale, che mi accompagna sempre. E’ il desiderio stesso di poter creare. Se dovessi usare un’immagine parlerei di cerchi concentrici, sui quali ci moviamo lentamente verso il centro. Rimane sempre qualcosa di non detto e quella nostalgia, che ti richiama e ti spinge ad andare avanti e oltre un rispettivo confine. E’ il desiderio dell’altro, che ci tocca e al quale desideriamo dare voce. Cambia il volto e l’espressione, ma al di là della singola esperienza o opera, è sempre quella voce che ti chiama. Ogni momento creativo inizia da un qualcosa che ci tocca, ed è dunque sempre in qualche modo parte di una nostra biografia. Una volta espresso però, è a se stante e contiene un di più e un proprio significato, che lo rende parte di quel desiderio. Il desiderio di creare. Talvolta penso, che da quando l’uomo ha toccato con le sue mani colorate la pietra della caverna, per imprimergli un segno, il tempo è stato segmentato da frammenti creativi, che sono accumunati, per quanto diversi, da quella nostalgia. Infondo creare è il desiderio stesso di umanità, fatto di paradossi e contrasti anche violenti, che solo questa passione riesce a contenere. Creare per me fa parte di un continuo, che evolve nel tempo e nel quale ci evolviamo, guardando in avanti.
Ogni tuo lavoro parla di te. Qualche aneddoto personale, frammenti di episodi che raccontano di te rispetto a questo lavoro presentato per Anagrammi?
La mostra Anagrammi è la metafora, di ciò che per me rappresenta creare. E’ legata a un momento e luogo di particolare significativo nella mia storia: Il Granaio di Santa Prassede. Ho potuto condividere questa esperienza purtroppo breve con due persone alle quale sono profondamente legata umanamente e artisticamente. Nel 2015 per un anno e mezzo circa, abbiamo trasformato il posto con Kostas Papaioannou e Alessandro Arrigo in un albergo d’arte e luogo d’incontro. Lì è nato l’Atelier del Granaio. Desidero ricordare tutto coloro, che hanno contribuito a dar vita a questo speciale intermezzo. Ogni atto creativo, per quanto astratto è sempre intenzionale e riflessivo allo stesso tempo. Concepire l’arte senza dialogo e senza il desiderio dell’altro e di altro, per me è impensabile. Il rapporto di continuità con un posto lo trasforma da spazio di transito accelerato in luogo di scambio e crea identità. Non esiste incontro senza sosta e sono proprio quelle soste a spingerci oltre. Viaggiare senza meta è errare.
Ci sono molte figure reali e fizionali, che più che aver contribuito alla mia formazione, sono compagni di viaggio, ai quali ti rivolgi, quando cerchi risposte. Uno su tutti Ulisse, il più vulnerabile, fallibile e dunque umano degli eroi e il suo lungo viaggio alla ricerca di Itaca e di se. E’ clamorosa, ma comprendo la sua rinuncia all’immortalità offertagli e dunque la scelta volontaria di lasciare il paradiso e seguire il suo percorso di uomo, con tutti i rischi e le ferite che comporta. Una su tutte: la possibilità di fallire nel suo desiderio di ritornare a casa. La poesia Itaca di Kavafis, mi ha accompagnato in tutte le mie ultime mostre.
Un ruolo determinate nell’apprendimento della fotografia ha avuto mio papa, fotografo e reprofotografo della casa editrice Burda. A lui devo l’aver imparato a vedere, la criticità e l’attenzione a temi etici e sociali. Gli devo anche la curiosità e il desiderio di spingersi oltre la soglia, verso il confine.
Per ultimo, ma non ultimo, Michele Baruffetty.
Ciao Michele, o ciao Baruffetty?! Come hai vissuto emozionalmente questo vernissage?”
RBaruffetty è una storpiatura del mio cognome che mi diverte, mi agevola anche nel non prendermi sul serio, quindi va benissimo Baruffetty!
Questo vernissage per me era molto importante, poiché è l’ultima volta che propongo questo ciclo di QrCode dal nome Medianica 1.0.
Nell’idea iniziale dell’opera infatti era previsto un tempo limitato di esposizione e una successiva stampa su forex, lasciando poi i QrCode tornare ai luoghi che li avevano generati; nel prossimo mese perciò compirò l’opera, peregrinando nei vari posti dove ho realizzato filmati e musiche e lasciandoli ad una fruizione casuale da parte di chi dovesse imbattercisi.
Ricerca di nuovi linguaggi, sperimentazione, innovazione e tradizione…in cosa ti senti maggiormente incuriosito e coinvolto non solo come artista ma anche come persona? E cosa di questo hai riportato nella tua proposta per Anagrammi
Il focus della mia ricerca riguarda le sembianze della comunicazione, specialmente quando allontanata dagli aspetti seduttivi o commerciali di cui viene rivestita. Mi piace anche riportare le persone sul piano del sentire, per questo propongo un’opera multimediale fatta di QrCode, così impersonali e poco appariscenti, che si fruisce privatamente tramite cuffie o auricolari, mi piace spingere le persone alla concentrazione e allontanarle dalla facile infatuazione; così proposta l’installazione mi permette anche di giocare con la vera curiosità delle persone, una curiosità non viziata da aspetti seduttivi o di immagine, e può trasformarsi in un invito informale ad immettere nel sistema espositivo, dove tutto è sempre lì, servito davanti ai nostri occhi, il concetto di volontà. Per fruire è necessario fare qualcosa, domandare ai Medium l’accesso ad un mondo altro, concentrandosi, si può viaggiare e conoscere senza muovere un singolo passo ma comunque uscendo dall’edificio che ti ospita.
Per Anagrammi ci siamo rapportati con Cristina e Kostas partendo dall’abbandono, dall’abbandonarsi e dal legarsi a luoghi che non ci sono più o che nel loro esistere, sono testimoni di impermanenza. Questi luoghi ci parlano e, in qualche modo, abbiamo subito tutti e tre una fascinazione da parte di posti così.
I miei QrCode si legano al concetto di Anagramma come gioco, come possibilità. Possibilità di mettersi al centro, di rielaborare qualcosa, sono un invito, anche se appaiono nascosti dietro un enigmatico e irriconoscibile sistema di segni.
Saluto e ringrazio gli artisti, qui è tutto. Ma solo per ora.
Barbara Lalle