Caso Foodora, la Corte d’Appello di Torino ha sancito il diritto dei riders, i fattorini che effettuano consegne a domicilio richieste via app, a vedersi corrispondere somme di denaro calcolate sulla base della retribuzione diretta indiretta e differita stabilita per i dipendenti del quinto livello del contratto collettivo logistica trasporto merci, deducendo quanto già percepito all’epoca in relazione al periodo in cui collaborarono con Foodora. È stata respinta invece la richiesta di riconoscere la sussistenza del licenziamento discriminatorio. I giudici hanno condannato la società a rifondere una parte delle spese di lite, 11 mila euro per il primo grado e 10.400 per il secondo grado.
La causa era stata avviata da 5 ex collaboratori della società tedesca di food delivery, che avevano perso il lavoro a seguito delle proteste scattate nell’autunno del 2016 per iniziativa di alcuni rider che chiedevano un miglioramento delle condizioni di lavoro sotto l’aspetto economico normativo. Lo scorso aprile il tribunale, in primo grado, aveva respinto tutti i punti del ricorso dei lavoratori in bici, che chiedevano il riconoscimento di lavoro subordinato e denunciavano mancate tutele e presunte violazioni. L’auspicio dei ricorrenti era che fosse ribaltata la sentenza di primo grado, che aveva respinto tutti i punti sollevati: rapporto di subordinazione, diritto alla sicurezza, tutela della privacy. Ora cantano vittoria.
“Finalmente una prima risposta a questa giungla di aziende che tentano di eludere le leggi per pagare una miseria i lavoratori, trattandoli come schiavi. Il giudice ha equiparato i rider ai fattorini, quindi anche per loro deve valere il contratto di lavoro subordinato, con richiamo all’articolo 2 del Jobs Act”. Lo ha detto l’avvocato Giulia Druetta dopo la lettura della sentenza della Corte d’appello di Torino, che ha accolto in parte il ricorso. “Questa azienda – ha detto in aula un altro dei legali dei rider, l’avvocato Sergio Bonetto – è riuscita nell’impresa di costruire un meccanismo tale per cui questi fattorini venivano pagati meno di quello che, all’epoca, era la metà del corrispettivo di un voucher per lavoro occasionale. Una miseria”. “Sulla carta – ha aggiunto – la gestione dei collaboratori da parte di Foodora era leggerissima e deregolata. Nella pratica era piena di obblighi”. Di tenore opposto gli interventi dei legali dell’azienda: “Si trattava di prestazioni a intermittenza che non possono essere ricondotte nella disciplina del lavoro subordinato. In azienda, peraltro, operavano dei fattorini impiegati in questa forma. Ad alcuni dei ricorrenti erano stati proposti dei contratti . “Un’ottima notizia per una sentenza che valorizza la nostra scelta di aver inquadrato per la prima volta in un contratto nazionale la figura del rider”. Così la Filt Cgil nazionale, alla luce del ricorso, accolto in appello a Torino, di cinque ex dipendenti di Foodora, a cui viene riconosciuta la retribuzione stabilita per dipendenti del contratto nazionale di lavoro della Logistica, Trasporto merci e Spedizioni. “Ora – sottolinea la Filt Cgil – serve proseguire su questa strada, valorizzando il loro lavoro”.
I fattorini in bicicletta e in scooter si considerano lavoratori subordinati senza tutele, la flessibilità e autonomia alla stregua di un pretesto per ricevere magri compensi dai committenti, inquadrati come sono, secondo loro impropriamente, nel contratto cosiddetto cococo. In particolare, nell’era del digitale i rapporti di lavoro sono diventati più evanescenti, affermano gli autori del ricorso, che auspicano che la loro vicenda costituisca un punto fermo per evitare “una discesa verso il peggio, che per noi ha avuto inizio con il passaggio dalla retribuzione oraria alla paga a cottimo”. La vertenza legale scattò dopo l’interruzione improvvisa dell’ingaggio dei rider, giunta dopo le proteste di piazza per le questioni relative al computo della paga. I fattorini chiedevano il reintegro e l’assunzione, oltre al risarcimento e ai contribuiti previdenziali non goduti. “Questa non è sharing economy, dicevano, i pagamenti a cottimo vanno vietati”.
Nel giorno in cui a Torino si affrontava il processo d’appello che contesta l’illecita interruzione del rapporto di lavoro con Foodora, nel Lazio prosegue l’iter per giungere all’approvazione, in Consiglio regionale, di una legge per la tutela e la sicurezza dei lavoratori digitali, per prevenire ritorsioni e forme striscianti di sfruttamento. ‘’Una platea di 100mila persone solo nel Lazio – afferma Claudio Di Berardino, assessore regionale al Lavoro e Nuovi diritti – opera mediante piattaforma informatica senza i più elementari diritti, come il riconoscimento all’infortunio sul lavoro, alla malattia, alle tutele previdenziali e assistenziali, e spesso è pagata a cottimo. Noi vogliamo rimandare alla contrattazione collettivaper l’individuazione del salario minimo, garantire diritti, introdurre principi di tutela e dignità, sanando un vuoto normativo di cui, oggi, fanno le spese i lavoratori più deboli. I rider sono la categoria con maggiore visibilità, ma nemmeno la più numerosa”.