Theresa May ancora ko e questa volta il controllo del processo Brexit passa nelle mani del Parlamento per la presentazione di piani B alternativi all’accordo raggiunto dalla premier con la Ue. La Camera dei Comuni ha infatti approvato l’emendamento Letwin con 239 a favore e 302 contrari e da mercoledì prossimo, con la prossima seduta, il governo dovrà seguire le indicazioni proposte da Westminister: mantenimento nel mercato unico, nuovo referendum o addirittura la cancellazione dell’uscita dalla Ue.
Prima del voto May aveva ammesso di non avere il “consenso sufficiente” per sottoporre a un terzo voto della Camera dei Comuni l’accordo sulla Brexit raggiunto con l’Unione europea e insistito che, laddove il Parlamento non fosse in grado di approvare un accordo su una diversa Brexit, l’Ue non concederà una proroga più lunga rispetto a quella fissata (fino al 22 maggio con la ratifica dell’accordo esistente, fino al 12 aprile senza). Sull’ipotesi di un secondo referendum la premier ha anche ribadito il suo “no”, malgrado la manifestazione di un milione di sostenitori ‘pro Reiman a Londra. Intanto la petizione online che chiede la revoca dell’art 50 del Trattato di Lisbona ha già raggiunto 5,5 milioni di firme.
May comunque non ha intenzione di lasciare il numero 10 di Downing Street. “C’è un lavoro da fare e intendo continuare a svolgerlo”, ha infatti risposto a una deputata indipendentista scozzese dell’Snp che le chiedeva se immagina di restare premier anche per la prossima fase dei negoziati sulla Brexit. Chi invece ha rassegnato le dimissioni è invece il ministro del Business e dell’Industria pro-Ue britannico Richard Harrington, come aveva dichiarato nel caso in cui non fosse stato escluso il “no deal” per l’uscita del Regno Unito. Oltre a Harrington hanno rassegnato le dimissioni i ministri del Foreign Office, Alistar Burt, e della Sanità, Steve Brine, entrambi a favore dell’emendamento Letwin.
La Commissione europea, dal canto suo, ha annunciato che alla luce di “rischi di uno scenario di no deal sempre più verosimile”, l’Ue e gli Stati membri hanno sostanzialmente “completato” la preparazione in caso di un’uscita traumatica dall’Ue della Gran Bretagna. Bruxelles ha inoltre spiegato che anche quasi tutte le misure legislative (17 su 19) sono già state adottate e che quelle rimanenti dovrebbero esserlo “rapidamente”.
Nell’eventualità di un no deal, la Commissione europea fa presente che “i rapporti del Regno Unito con l’Ue saranno governati dal diritto pubblico internazionale generale, che comprende le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio”. Uno dei rischi, avverte Bruxelles, è che nuovi “contolli” possano causare “ritardi considerevoli” alla frontiera. Nel testo diffuso dalla Commissione si sottolinea d’altra parte che l’Ue continua ancora a “sperare” che questo scenario non si realizzi, con l’approvazione da parte del parlamento di Londra entro venerdì prossimo del piano per la Brexit negoziato con la premier Theresa May.
Un bastimento in alto mare, con l’equipaggio diviso sulla direzione da prendere, tentato dall’ammutinamento, ma incapace per ora di togliere il timone alla capitana. E’ l’immagine della Gran Bretagna in turbolenta navigazione verso la Brexit che torna a emergere dall’ennesimo dibattito alla Camera dei Comuni. Segnato ancora una volta dal braccio di ferro fra la premier Theresa May – all’angolo, eppure decisa per ora a non dimettersi – e un Parlamento che tuttavia si mostra infine capace di provare a sottrarle il controllo.
Theresa May, nel suo statement, ammette che “allo stato non c’è ancora un consenso sufficiente” per l’intesa da lei raggiunta con Bruxelles a novembre e già bocciata due volte clamorosamente a Westminster. Ma non per questo la ritira dal tavolo. Si limita a prendere tempo, aggiornando a data da destinarsi l’ipotesi di un terzo voto di ratifica – se sarà possibile – e intanto si piazza sulla riva del fiume ad aspettare i preannunciati “voti indicativi” del Parlamento: dicendosi disposta ad “affrontarne costruttivamente” il responso, ma avvertendo di non voler dare “assegni in bianco” su alternative “non negoziabili” con l’Ue e non senza dichiararsi “scettica” sull’esito dell’operazione. Per il resto il suo messaggio resta testardamente identico a se stesso.
L’impegno del governo rimane quello di cercare il consenso sul piano A, insiste May a dispetto del nuovo ‘no’ incassato dai vitali alleati unionisti nordirlandesi del Dup. Ribadendo di essere contraria – nonostante la marcia del milione di anti-Brexit di Londra e la petizione firmata da 5,5 milioni di persone – a un secondo referendum che sarebbe un tradimento del “dovere di attuare il risultato del primo” sancito da “17,4 milioni di elettori” nel 2016. E aggiungendo che se i deputati non fossero in grado di approvare qualche strategia positiva differente dalla sua intesa entro il 12 aprile, Bruxelles non potrebbe accordare un rinvio lungo della Brexit: con la conseguenza di lasciare il temuto e traumatico sbocco del cosiddetto ‘no deal’ come epilogo automatico. Un epilogo che la Commissione Europea considera a questo punto “sempre più verosimile”, riferendo di preparativi sostanzialmente “completati” da parte di Ue e Stati membri per parare o ridimensionare gli effetti del contraccolpo.