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La Sea Watch, che si lessa a qualche miglio delle acque territoriali italiane da dodici giorni, è l’ultimo caso contro cui Salvini è ‘fermo’ per “una questione di principio”.
In realtà mentre tiene d’occhio la Sea Watch i migranti entrano comunque da tutte le parti. Qualche giorno fa, in un solo giorno, ne sono entrati 200 tra Lampedusa e via terra al nord e proprio ieri altri 59 sono sbarcati sulle coste joniche, senza tenere conto di tutte le decine di sbarchi fantasma che quotidianamente si registrano sulle nostre coste.
Matteo Salvini lascia a mollo 40 disperati e si illude che non partano più.
La diocesi di Torino è disponibile ad accogliere le 43 persone che sono a bordo della Sea Watch al largo di Lampedusa, senza oneri per lo Stato, perché al più presto si possa risolvere una situazione grave e ingiusta” ha detto l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, al termine della messa per San Giovanni, patrono di Torino. “Come vescovo e come cristiano sento tanta sofferenza”, ha aggiunto invocando l’aiuto di San Giovanni “che ha sempre difeso i poveri”. “Noi ci siamo. Torino ha un numero abbastanza elevato di famiglie disposte ad accoglierli, è una particolarità specifica della nostra città” prosegue Nosiglia, “non ci sono solo realtà istituzionali o del terzo settore ma anche famiglie che hanno dato la loro disponibilità. Siamo pronti. Se il Governo e il ministro sono d’accordo li andiamo a prendere e li portiamo su, ma credo sia una disponibilità che potrebbe essere accolta per trovare uno sbocco a questa situazione”.
Da Bruxelles dicono che “la Commissione ha fatto pressione sugli Stati membri per concordare meccanismi temporanei a seguito degli sbarchi per assicurare più prevedibilità per tutti quelli coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso”. La Commissione rinnova il suo appello “a tutti gli Stati membri per facilitare e accelerare questo lavoro cruciale”, ma nel frattempo “chiede agli Stati membri di tenere a mente l’imperativo umanitario e contribuire a una rapida soluzione” sulla Sea Watch 3.
Ma Matteo Salvini non intende cedere. “L’Unione europea vuole risolvere il problema SeaWatch? Facile. Nave olandese, Ong tedesca: metà immigrati ad Amsterdam, l’altra metà a Berlino. E sequestro della nave pirata. Punto”. Salvini aveva scritto ieri al collega olandese. La Sea Watch3 con un “ricatto morale” espone 42 migranti a gravi rischi per forzare l’Italia a concedere lo sbarco. Ma la nave batte bandiera olandese e dunque “qualsiasi ulteriore peggioramento della situazione a bordo non potrà non ricadere nell’esclusiva responsabilità” dell’Olanda e del comandante.
Nella sua lettera alla ministra olandese, Salvini ricorda che, rifiutando di portare in Libia i migranti soccorsi, la comandante ha “autonomamente deciso di esporre le persone a bordo (donne, uomini e minori) ad una navigazione più lunga e pericolosa, con conseguenti inutili, maggiori rischi per la propria integrità psico-fisica”. E, “pur avendo richiesto, sin dall’inizio, un porto di sbarco al proprio Paese di bandiera – a Voi – non ha, inspiegabilmente, ricevuto risposta”. Così da molti giorni la Sea Watch staziona ai limiti delle acque italiane utilizzando in modo “strumentale” “l’evoluzione delle condizioni delle persone a bordo per ‘forzare’ le Autorità italiane ad autorizzare lo sbarco”. Ma a fronte di questa condotta, secondo il titolare del Viminale, “l’Italia non può, all’evidenza, consentire – sottostando ad un ‘ricatto morale’ – che le proprie leggi vengano, di fatto, calpestate e rese parole vuote”. La lettera si chiude con un richiamo all’ “esclusiva responsabilità” dell’Olanda e del comandante e dell’equipaggio nel caso di peggioramento della situazione a bordo e con l’invito alla collega ad assumere “le necessarie, urgenti iniziative”.
“Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane con la Sea Watch e porto in salvo i migranti a Lampedusa”. Carola Rackete, 31enne tedesca capitana dell’imbarcazione della ong olandese in lotta da giorni con Matteo Salvini e il governo italiano per far sbarcare 42 migranti a bordo della nave sceglie Repubblica per lanciare la sua ultima sfida all’Italia.
“Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì”, spiega la Rackete, che così rischierà l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, oltre a una multa e alla confisca della Sea Watch. “So anche questo – dice – ma io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più. Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto”. C’è chi sottolinea come per tutto il tempo in cui è restata ferma alle porte di Lampedusa, la nave avrebbe potuto materialmente recarsi in Olanda, il Paese della Ong, ma con la Rackete questo passa in secondo piano: “I migranti sono disperati. Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mareo tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa”.