Proposta da 18 deputati di Forza Italia una miniriforma delle disposizioni concernenti la composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Una proposta finalizzata ad aumentare di 6 unità la rappresentanza deipubblicisti (da 20 a 26), mantenendo inalterata quella dei professionisti (40), che il decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 67, adottato dal Governo in attuazione dell’articolo 2, comma 4, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, aveva ridotto falciando il Consiglio nazionale (da 156 a 60 componenti).
I deputati di Forza Italia motivano la richiesta con la necessità di ripristinare il “diritto di tribuna” dei pubblicisti, ridotti ad una “sproporzionata e ingiusta minoranza”,eliminando anche la “disparità di rappresentanza tra ordini regionali che hanno un numero di iscritti molto differenziato, che penalizza le regioni più importanti”, soprattutto Lazio e Lombardia.
“Un terzo aspetto – rilevano i deputati di Forza Italia – riguarda la violazione del principio «no taxation without representation», per l’identica quota di iscrizione dovuta dai giornalisti professionisti e dai pubblicisti, che porta i pubblicisti a sostenere oltre il 70 per cento delle spese di mantenimento dell’Ordine, a fronte di una rappresentanza di un solo pubblicista per ogni due professionisti”.
Un quarto elemento, citato a sostegno della loro tesi, i deputati di Forza Italia lo individuano nella “violazione del diritto di eguaglianza tra i candidati ai consigli regionali e quelli al Consiglio nazionale”, ovvero nella prescrizione, solo per il Consiglio nazionale, che i candidati siano titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi).
Piuttosto che chiedere l’estensione della prescrizione anche ai Consigli regionali, i deputati di Forza Italia propongono di “eliminare il requisito di eleggibilità del possesso di una posizione previdenziale attiva presso l’Inpgi” anche per il Consiglio nazionale.
Secondo i deputati di Forza Italia risultano penalizzati “i pensionati e tutti i giornalisti della pubblica amministrazione e del settore privato iscritti presso l’Inps”, ma il ragionamento da fare è ben diverso.
All’Inpgi, infatti, non risultano iscritti oltre il 60% dei quasi 106mila giornalisti iscritti all’Ordine, il che significa che – tranne poche eccezioni – la maggioranza di essi non ha mai percepito (o, comunque, non ha denunciato) un solo centesimo di retribuzione dopo l’iscrizione all’Albo. Condizione, questa, che ne avrebbe imposto la cancellazione “per inattività” attraverso la revisione prevista all’articolo 41 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963. (“È disposta la cancellazione dagli elenchi dei professionisti o dei pubblicisti dopo due anni di inattività professionale. Tale termine è elevato a tre anni per il giornalista che abbia almeno dieci anni di iscrizione”).
Ben venga, dunque, una revisione della legge che dia dignitoso diritto di tribuna ai pubblicisti, ma a quelli veri. Non certo a quanti lo praticano per hobby e, così facendo, sviliscono ulteriormente un lavoro – perché di questo si tratta – che non ha certo bisogno di prestazioni “a gratis” e di concorrenza sleale, ma di giornalismo professionale di qualità che – come tale – va dignitosamente retribuito e correttamente inquadrato in materia previdenziale. (giornalistitalia.it)
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 591
PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MAURO D’ATTIS, ALESSANDRO BATTILOCCHIO, DEBORA BERGAMINI, MICHAELA BIANCOFIORE, FELICE MAURIZIO D’ETTORE, MANUELA GAGLIARDI, CARLO GIACOMETTO, OSVALDO NAPOLI, ANTONIO PALMIERI, GUIDO GERMANO PETTARIN, ELISABETTA RIPANI, ROBERTO ROSSO, JOLE SANTELLI, GIORGIO SILLI, MARIA SPENA, LUCA SQUERI, MARIA TRIPODI, SIMONA VIETINA (Forza Italia)
Disposizioni concernenti la composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti
Presentata il 10 maggio 2018
Onorevoli Colleghi! — Il decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 67, adottato dal Governo in attuazione dell’articolo 2, comma 4, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, ha modificato la legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante «Ordinamento della professione del giornalista», operando una revisione nella composizione e nelle attribuzioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
In particolare, i consiglieri nazionali sono passati da 156 (in un rapporto di circa 1 a 1 tra professionisti e pubblicisti) a 60, in un rapporto di 2 a 1 tra giornalisti professionisti (40) e pubblicisti (20), con la perdita secca di 20 rappresentanti dei pubblicisti e con le possibili lesioni di diritti di seguito descritte.
Il decreto legislativo n. 67 del 2017 ha determinato, in modo improvviso e irrazionale, l’annullamento del «diritto di tribuna» acquisito dai pubblicisti in cinquantacinque anni di applicazione della legge n. 69 del 1963, portandoli ad una sproporzionata e ingiusta minoranza nel Consiglio medesimo.
Il mestiere del giornalista è cambiato.
Migliaia di giornalisti sono ormai formalmente pubblicisti, ma vivono di giornalismo (restano pubblicisti perché non viene data loro l’opportunità di svolgere la pratica, oppure preferiscono questa collocazione per non vedere disdetto il proprio contratto di collaborazione perché il datore di lavoro teme cause o rivendicazioni).
Il nuovo meccanismo di elezione ha suscitato viva contrarietà nei pubblicisti italiani e presenta gravi aspetti critici.
Il primo è costituito dalla violazione del diritto di rappresentanza. Una regione rimane infatti senza un rappresentante pubblicista eletto nell’ordine regionale, poiché il pubblicista rappresentante la minoranza linguistica nel Consiglio nazionale prende il posto del pubblicista che ha riportato il minor numero di voti tra i venti giornalisti pubblicisti eletti nei venti ordini regionali (articolo 16, quinto comma, della legge n. 69 del 1963, introdotto dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 67 del 2017).
Rilevante al riguardo è il parere di un legale esperto e accreditato nella categoria dei giornalisti, secondo cui gli eventuali profili di incostituzionalità delle disposizioni normative contenute nel decreto legislativo n. 67 del 2017 – in particolare quello relativo alla violazione del principio di ragionevolezza e dei princìpi espressi nella legge di delega, in ordine al combinato disposto dell’articolo 1, commi 1 e 2, per effetto del quale si verifica che in seno al Consiglio nazionale un rappresentante pubblicista di minoranza linguistica, eletto nel collegio unico nazionale, prenda il seggio del rappresentante pubblicista, eletto su base regionale che abbia riportato il minor numero di voti – potranno essere fatti valere solo a seguito di un eventuale ricorso proposto al giudice competente dal giornalista pubblicista, eletto su base regionale e costretto a cedere il proprio seggio al rappresentante della minoranza linguistica eletto in sede di collegio unico nazionale.
Il secondo aspetto critico risiede nella disparità di rappresentanza tra ordini regionali che hanno un numero di iscritti molto differenziato, che penalizza le regioni più importanti (articolo 16, commi secondo, terzo e quarto, della legge n. 69 del 1963, come sostituiti dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 67 del 2017). Il nuovo numero di venti rappresentanti dei pubblicisti, complessivamente previsto dalla nuova normativa non è con tutta evidenza sufficiente a coprire le ventuno posizioni previste dalla stessa legge (i venti pubblicisti, eletti nei venti collegi regionali, e un rappresentante pubblicista di minoranza linguistica in seno al Consiglio nazionale, eletto nel collegio unico nazionale). Ne deriva, ad esempio, il paradosso che gli ordini della Lombardia e della Valle d’Aosta hanno lo stesso numero di rappresentanti pubblicisti, cioè uno, malgrado il grande divario nel numero di iscritti (alla data dell’adozione del decreto legislativo, 13.924 contro 246). Lazio e Lombardia insieme, con circa 50.000 iscritti totali, rappresentano di fatto la metà dei giornalisti italiani.
Un terzo aspetto riguarda la violazione del principio «no taxation without representation», per l’identica quota di iscrizione dovuta dai giornalisti professionisti e dai pubblicisti, che porta i pubblicisti a sostenere oltre il 70 per cento delle spese di mantenimento dell’ordine, a fronte di una rappresentanza di un solo pubblicista per ogni due professionisti.
Infine, si rileva la violazione del diritto di eguaglianza tra i candidati ai consigli regionali e quelli al Consiglio nazionale. L’articolo 16, secondo comma, della legge n. 69 del 1963, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, del citato decreto legislativo n. 67 del 2017 prescrive, solo per il Consiglio nazionale, che i candidati siano titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), penalizzando così anche i pensionati e tutti i giornalisti della pubblica amministrazione e del settore privato iscritti presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale.
La deliberazione del Consiglio nazionale del 9 luglio 2014, «Linee di riforma dell’Ordine dei giornalisti» – il pensiero quindi degli stessi interessati professionisti e pubblicisti insieme – aveva previsto: «Il Consiglio nazionale dell’Ordine è formato da 90 componenti secondo un rapporto di rappresentanza fissato in 3 a 2 tra gli iscritti all’Elenco dei professionisti e gli iscritti nell’Elenco dei pubblicisti». Pensiero inspiegabilmente ignorato in sede di approvazione della legge di delegazione legislativa (legge 26 ottobre 2016, n. 198).
Il metodo esponenziale previsto dalla citata legge n. 69 dal 1963 al 2017, che comportava la crescita differenziata del numero dei rappresentanti dei professionisti e dei pubblicisti al crescere degli iscritti, anche se penalizzante per i pubblicisti, ha comunque garantito loro nel tempo una sorta di «diritto di tribuna». Il metodo fisso introdotto dal recente decreto legislativo relega la rappresentanza dei pubblicisti (che costituiscono la categoria maggioritaria) a un ruolo marginale.
Come detto, il Consiglio nazionale, prima della recente riforma, era composto da 156 membri, in un rapporto di circa 1 a 1 tra professionisti e pubblicisti, a fronte però di circa 29.000 professionisti e di circa 74.000 pubblicisti, che pagano tutti la stessa quota di iscrizione annuale (100 euro). Secondo l’ultimo rapporto del gruppo di lavoro «Libertà di stampa, diritto all’informazione» sulla professione giornalistica, il 12 per cento dei giornalisti non ricava alcun reddito; 8 su 10 sono professionisti freelance e guadagnano meno di 10.000 euro l’anno.
Sono migliaia i pubblicisti costretti a restare tali dal mercato. Senza di loro i giornali dovrebbero ridurre il numero delle pagine e le radio e le televisioni i notiziari. È da considerare, inoltre, che una sentenza della Corte costituzionale (n. 98 del 1968) aveva equiparato il pubblicista al giornalista professionista per quanto concerneva la possibilità di dirigere un giornale. Tale sentenza aveva consentito, a suo tempo, a un pubblicista di dirigere il «Corriere della Sera».
È inoltre cresciuto, in alcuni settori del giornalismo italiano, l’interesse verso l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, soprattutto dopo l’approvazione della legge 14 gennaio 2013, n. 4, recante disposizioni in materia di professioni non organizzate. Essa è una legge fortemente innovativa, di respiro europeo, che regolamenta le associazioni professionali non organizzate in ordini, collegi o albi, in maniera efficace (con valorizzazione di competenze, regole deontologiche, formazione permanente, codice di condotta e sanzioni per le sue violazioni, senza rappresentanza esclusiva e scopo di lucro eccetera) ponendole sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico, previa iscrizione in un apposito elenco gestito dallo stesso Ministero.
Considerato strategicamente rilevante, nell’interesse del Paese, il mantenimento di un comune sentire tra gli appartenenti ai due elenchi dell’Albo dei giornalisti (professionisti e pubblicisti), messo in pericolo da alcune delle scelte sopra descritte, appare doveroso approvare alcune ulteriori modifiche alla legge n. 69 del 1963, rettificando taluni aspetti dell’intervento operato con il decreto legislativo n. 67 del 2017.
Pertanto, per le esposte considerazioni, con la presente proposta di legge si prevede di eliminare i profili di possibile incostituzionalità connessi alle citate decisioni, ormai percepite come violazioni di diritti. L’articolo 1 disciplina quindi una più equilibrata rappresentanza delle due categorie nel Consiglio nazionale, eliminando altresì il requisito di eleggibilità del possesso di una posizione previdenziale attiva presso l’Inpgi. L’articolo 2 contiene le disposizioni transitorie e la clausola di invarianza finanziaria.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Disposizioni concernenti la composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti).
1. All’articolo 16 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi secondo, terzo e quarto sono sostituiti dai seguenti:
«Il Consiglio nazionale è composto da sessantasei membri, di cui quaranta iscritti nell’elenco dei professionisti e ventisei iscritti nell’elenco dei pubblicisti. Essi sono eletti dagli iscritti agli Ordini regionali e interregionali nei rispettivi elenchi. Per ciascuna categoria, nell’ambito del numero complessivo dei membri ad essa attribuiti dal primo periodo, è eletto almeno un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute. Ai fini dell’elezione, ciascun Ordine regionale o interregionale costituisce collegio elettorale. Gli Ordini delle province autonome di Trento e di Bolzano, ove istituiti, costituiscono un unico collegio elettorale. Nessun iscritto negli elenchi può votare o essere eletto in più di un collegio.
Ciascun Ordine regionale o interregionale elegge un consigliere nazionale iscritto all’Albo nell’elenco dei professionisti. Fermi restando i limiti numerici di cui al secondo comma e salva la riserva di un posto ivi stabilita per la rappresentanza delle minoranze linguistiche, ai collegi elettorali corrispondenti agli Ordini regionali o interregionali che, al 31 dicembre dell’anno precedente le elezioni, hanno un numero di giornalisti professionisti iscritti superiore a mille è assegnato, per la categoria dei giornalisti professionisti, un seggio ulteriore ogni mille professionisti iscritti o frazione di mille. L’ultimo seggio rimanente, nel rispetto dei predetti limiti e della rappresentanza linguistica, è attribuito all’Ordine regionale o interregionale con la frazione di mille più elevata. Nessun Ordine regionale o interregionale può ottenere più di un quinto dei rappresentanti dei giornalisti professionisti.
Ciascun Ordine regionale o interregionale elegge un consigliere nazionale iscritto all’Albo nell’elenco dei pubblicisti. Fermi restando i limiti numerici di cui al secondo comma e salva la riserva di un posto ivi stabilita per la rappresentanza delle minoranze linguistiche, ai collegi elettorali corrispondenti agli Ordini regionali o interregionali che, al 31 dicembre dell’anno precedente le elezioni, hanno un numero di pubblicisti iscritti superiore a cinquemila è assegnato, per la categoria dei pubblicisti, un seggio ulteriore ogni cinquemila pubblicisti iscritti o frazione di cinquemila. L’ultimo seggio rimanente, nel rispetto dei predetti limiti e della rappresentanza linguistica, è attribuito all’Ordine regionale o interregionale con la frazione di cinquemila più elevata. Nessun Ordine regionale o interregionale può ottenere più di due seggi ulteriori mediante la ripartizione di cui al secondo e al terzo periodo»;
c) il sesto periodo del quinto comma è soppresso.
Art. 2.
(Disposizione transitoria e clausola di invarianza finanziaria).
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge si procede all’integrazione della composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in carica alla data della sua entrata in vigore secondo le disposizioni dei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 16 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, come sostituiti dall’articolo 1 della presente legge.
2. Dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.