Lo scontro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio andato in scena nei giorni scorsi e che continuerà nei prossimi giorni è figlio di una insofferenza politica che vivono i due vicepremier. I due ragazzi, diversi e distanti quasi su tutto, nati politicamente in momenti storici diversi, ora sono obbligati a governare assieme. Ma nessuno dei due è felice. Ognuno vuole essere prima donna ma ognuno sa che vive grazie all’altro. Per ora sono legati in un matrimonio forzato: non possono ‘separarsi’ perché ancora non sono maturi e coscienti per prendere questa decisione tanto dolorosa. Difficile da spiegare agli elettori dopo pochi mesi di unione. Forse avverrà, ma bisognerà aspettare almeno la prossima primavera. Lo dimostra quel contratto di governo che ha dato il via libera alla formazione del governo Conte. Le scintille dei giorni scorsi che hanno fatto gridare alla crisi di governo sono rientrate ma sono sempre lì pronte ad illuminare il cielo politico italiano. Perché la campagna elettorale di Luigi Di Maio e Matteo Salvini non finisce mai. In questo, ma per opposti motivi e ragioni storico culturali diverse, ricordano un pò qualche ‘odiato’ uomo politico della Prima Repubblica che ad urne chiuse, dopo qualsiasi tornata elettorale, si rimetteva subito a fare campagna elettorale per essere pronto alla prossima chiamata. Tempi e modi diversi certo. Quindi per ora non succederà nulla. Il presidente del consiglio può dormire più o meno tranquillo. I due vicepremier, come dimostrato anche in questa occasione, hanno siglato l’ennesimo patto di ‘pace’. Una pace armata elettore. Si intende. Ritornare alle urne, nonostante i sondaggi diano una Lega in forte ascesa, ma lontana dall’essere autonoma, in questo contesto e momento storico non conviene a nessuno. Salvini e Di Maio lo sanno bene, benissimo. Dovranno parlare ai propri elettori e a tutti coloro che non li hanno votati. E cosa diranno di aver fatto durante l’esperienza di governo? Senza provvedimenti forti, di bandiera le urne potrebbero diventare un digestivo molto amaro per entrambi. Salvini senza flat tax e federalismo, due dei cavalli di battaglia elettorali, non riuscirebbe a cementare quel nord che da sempre è stato lo zoccolo duro del leghismo e rischierebbe di ‘scontentare’ il sud. La Lega ora è diventata Nazionale e quindi ha bisogno dei voti del Sud: senza questi voti non si vincono le elezioni. Le elezioni europee hanno dimostrato che il partito al Sud c’è ma le elezioni politiche si basano su presupposti totalmente diversi e diversificati dalle altre competizioni elettorali che fanno storia a sè. Gli occorre tempo per radicarsi elettoralmente per evitare di imbarcare i mestieranti della politica, che hanno, però, i voti necessari. Quindi ha bisogno della pace armata con i Cinque Stelle per crescere al Sud, strappando voti proprio a loro e giocare sull’antipolitica che ha fatto vincere i pentastellati. Ed ecco Luigi Di Maio che si trova vittima di un gioco, a tratti, più grosso ed impegnativo di quanto aspettatosi. Governare un Paese è un’arte difficile. Prendere decisioni è difficile soprattutto quanto si è un pò spaesati e contemporaneamente dare risposte agli elettori. Il primo bagno di realtà è stato vissuto con le elezioni europee: una batosta che nessuno si aspettava. Ma quando servono le preferenze per contare e non solo gli slogan le urne sono, a volte, spietate. Anche a Di Maio non conviene rompere, almeno per ora, con Salvini perché dovrebbe dare troppe spiegazioni agli elettori su promesse fatte per rompere la Casta e non mantenute. Il reddito di cittadinanza sembra aver scontentato un pò tutti. In tanti al Sud avevano pensato di prendere un bel pò di soldi e continuare a lavorare in nero. La realtà è stata diversa come dimostrato ‘politicamente’ alle elezioni europee. Insomma i due vice premier dovranno continuare a stare assieme. Ognuno dei due vive grazie all’altro. Per ora, nonostante le continue scaramucce, non si lasceranno. Si azzuffano, o fanno semplicemente finta di farlo, perché sono in una continua campagna elettorale. Sicuramente questo matrimonio ‘politico’ non durerà tutta la vita. Si romperà. Ma prima che avvenga passerà del tempo perché l’ultima parola spetta all’arbitro Mattarella, per ora defilato e ma sempre vigile su tutto, e poi al Parlamento. Non si dimentichi un aspetto fondamentale: nonostante gli ordini di partito legati alla legge elettorale probabilmente circa la metà degli attuali parlamentari dovrà abbandonare il proprio scranno al Senato ed alla Camera. I partiti sono sicuri che tutti sarebbero disposti a mandare a casa il governo guidato da Giuseppe Conte ben sapendo di non essere nemmeno inseriti nelle liste elettorali. Figurarci se poi anche eletti. Il partito trasversale dei ‘responsabili’ è sempre vivo.
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