Salvini poteva mandare a casa Di Maio ma non lo ha fatto…

Tutti ne parlano e tutti le minacciano, la verità è che elezioni anticipate non le vuole nessuno. Perché non fanno comodo a nessuno. Tra Tav e decreto Sicurezza Bis Salvini avrebbe potuto approfittare della crisi dei Cinque Stelle per assestare la spallata definitiva al governo. Ma non lo ha fatto.

Sicuramente non fanno comodo a Di Maio, che in questo anno al governo ha visto scendere prima la percentuale di elettori e poi quella di sostenitori all’interno del Movimento. Ma non fanno piacere neanche a Matteo Salvini, che in questo governo si è guadagnato un ruolo di primo ordine e che sa che agitare le acque con le indagini in corso non è mai una buona idea. E la storia politica italiana lo dimostra.

Ma partiamo dall’analisi della situazione attuale. Il governo è spaccato al momento sull’Autonomia, con il discorso rinviato a settembre, sulla manovra economica, sulla Tav (Toninelli non ha firmato la lettera per il via libera) e sul decreto Sicurezza (in Senato Salvini ha bisogno degli alleati di centrodestra per far passare il provvedimento). Riassumendo il tutto in poche parole: il governo non è compatto e il clima non è quello della collaborazione invocato da Conte e Mattarella, che continuano a seguire la situazione con attenzione e probabilmente un piano B già l’hanno in mente.

Salvini avrebbe potuto far cadere il governo uscendone a testa alta, invece ha voluto ignorare la spinta proveniente dalla base del Carroccio e ha voluto rimanere legato a Di Maio. Perché? Secondo alcuni per rispetto della parola data, secondo altri per le inchieste pendenti. Il caso Siri non si risolve con le dichiarazioni di Arata e Nicastri, anzi, si complica con le voci di un pagamento di un milione di euro dal San Marino. In più c’è sempre in piedi l’affaire russo, con la Procura di Milano che scava a fondo nei conti del partito, con il Carroccio che deve allo Stato ancora i soldi per la truffa di Bossi.

Salvini poi, attaccatosi in verità a un debole argomento come l’intenzione espressa dal presidente del Consiglio di presentarsi alle Camere nel caso in cui le circostanze, obiettivamente precarie, provocassero la crisi convincendolo a dimettersi anzitempo, ha sospettato a più riprese un tentativo, un proposito e quant’altro del presidente del Consiglio di scavalcare la catena, cioè  limiti e confini, dell’attuale maggioranza gialloverde per offrirsi alla guida di un’altra. Dove i leghisti dovrebbero o potrebbero essere sostituiti dal Pd e da altri volenterosi, “alla Scilipoti”, che ora naviga politicamente tra i forzisti di Silvio Berlusconi, interessati ad evitare le elezioni anticipate che pure auspicano a parole quando reclamano, un giorno sì e l’altro pure, la caduta di un governo che Repubblica, ormai capofila delle opposizioni di ogni grado e colore, ha appena definito “sotto zero”, in tutti i sensi.

Senza parlare del partito di Berlusconi, dove ormai non serve più un analista per esaminare e descrivere la situazione occorrendo forse un patologo, nel Pd non mi sembrano francamente morire tutti dalla voglia di soccorrere Conte e di garantirgli una maggioranza di riserva con i suoi grillini. Fra i quali peraltro la confusione è ancora più grande, e anche drammatica, di quella dei forzisti: una situazione sul cui fuoco soffia anche il giornale a loro meno ostile, o più favorevole, come preferite, quale ‘Il Fatto Quotidiano’. I cui lettori – avverte un titolo di prima pagina con tono minaccioso per il capo del movimento Luigi Di Maio – danno coralmente dei “traditori” ai dirigenti del partito pronti anche ad ingoiare, al di là di un’apparente intransigenza e rivendicazione di un adeguato passaggio parlamentare, il trasporto ferroviario ad alta velocità delle merci dalla Francia all’Italia, e viceversa: il famoso Tav, nella versione maschile preferita da quel giornale.

Bene che vada ad un Conte smanioso davvero di cambiare maggioranza, solo poco più della metà del Pd lo soccorrerebbe. Di Scilipoti ce ne vorrebbero non a decine ma a centinaia, forse, per venirne a capo. Via, non è una prospettiva realistica, e neppure seria, per quanto Salvini mostri di vederla e persino di temerla, forse solo per avere o conservare un argomento polemico nei rapporti con i grillini, che non sembrano francamente migliorati neppure dopo l’incontro che ha voluto o potuto finalmente avere col suo omologo a Palazzo Chigi Di Maio.

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