Le bandiere di palazzo Chigi durante il Consiglio dei Ministri (Cdm) sulla riforma della giustizia, Roma, 31 luglio 2019. ANSA/ANGELO CARCONI

Riforma della giustizia e scontro tra Lega e M5S

Sulla riforma della giustizia  è  scontro,  e sostanziale divergenza,  tra i due partiti di maggioranza all’interno del governo. Luigi Di Maio aveva preannunciato una riforma epocale che la Lega non avrebbe potuto non accettare. Al centro della bozza la riduzione sostanziale dei tempi per i processi, per un massimo di 6 anni, la questione delle indagini preliminari, il ruolo dei magistrati in politica e la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Matteo Salvini non ha esitato a bollarla come una riforma ‘all’acqua di rose’, non sufficientemente ambiziosa e soprattutto povera di aspetti per lui chiave come l’intervento sulle intercettazioni e la separazione delle carriere dei magistrati.

Sicuramente c’è bisogno da molti anni di una riforma della giustizia, anche se di riforme della giustizia non ne sono mancate, in particolare le riforme Castelli e Mastella. Effettivamente però non ne sono mai state fatte di utili dal punto di vista del contenimento dei tempi del processo. Ora bisognerà vedere il testo che uscirà dal Consiglio dei ministri.

Si aspetta  un intervento significativo nel contenimento dei tempi della giustizia.  Ricordiamo che l’Italia continua ad essere uno dei Paesi più condannati per durata non ragionevole del processo. Questa riduzione dei tempi si lega poi ad un’altra questione che divide i due partner di governo, ovvero la prescrizione. Nello Spazzacorrotti, la legge entrata in vigore ad inizio anno, che cerca di intervenire con delle misure per la riduzione della corruzione, è presente la norma che sospende la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma la sua entrata in vigore è stata dilazionata di un anno, proprio perché la Lega riteneva che si dovesse intervenire, appunto, con una riduzione dei tempi del processo. Questa avviene attraverso diversi strumenti, o almeno così risulta annunciato: un limite di 6 anni di durata del processo, che non è chiaro come si realizzerebbe, ma che sembrerebbe legato ad un calendario di udienze preventivamente stabilito, ad una riduzione dei tempi delle indagini preliminari nel caso del processo penale, e ad un’udienza filtro per evitare i processi inutili perché inevitabilmente destinati ad un proscioglimento. Accanto a questo, vi sarebbe la previsione di un illecito disciplinare a carico del magistrato che non abbia svolto con diligenza e tempestività le sue funzioni. Questo agirebbe contro quei magistrati – che sono un’esigua minoranza, ma ci possono essere – che non lavorano abbastanza. Si tratta di una serie di misure che vanno verificate nella loro concreta articolazione, ma la direzione potrebbe essere interessante.

Uno dei motivi di scontro è quello della separazione delle carriere dei magistrati. La Lega lamenta questo aspetto, che però non si potrebbe attuare attraverso una legge ordinaria, quindi questa è un’obiezione che può apparire pretestuosa da parte della Lega. Allo stesso modo, l’idea di istituire un Csm per i giudicanti e uno per i requirenti presupporrebbe prima la separazione delle carriere.

Altra questione che divide il governo è quella delle intercettazioni.  Su questo c’è una posizione molto diversa tra le due forze politiche. La Lega non è arrivata al governo nel 2018, ha governato per sei mesi nel ’94, dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011, cioè nei quattro governi Berlusconi. La questione delle intercettazione è stata un pallino del programma sulla giustizia in quei governi. I Cinque Stelle invece hanno invece una posizione tradizionalmente favorevole alle intercettazioni e non stupisce che la questione non sia stata affrontata.

Altro punto caldo è la questione della riforma del Consiglio superiore della magistratura. Sotto questo aspetto vi sarebbe una modifica rispetto al numero e le modalità di elezione dei magistrati del Csm. Questo è possibile farlo con una legge ordinaria, perché è già disciplinato con una legge ordinaria. Una modifica abbastanza significativa è quella che porterebbe i componenti elettivi da 24 a 30, cioè allo stesso numero che c’era prima della riforma Castelli, che li aveva ridotti a 24. Se confermato, l’aumento costituirebbe l’unico caso di un organo che cresce anziché ridursi, anche se si tratterebbe di un numero limitato di unità. L’obiettivo è di non concentrare nelle mani di un numero ristretto di persone alcune decisioni,  che alcune indagini e intercettazioni dell’ultimo periodo hanno fatto emergere come delicate, in particolare l’assegnazione degli uffici giudiziari. Questi episodi che sono emersi in realtà hanno poco a che fare con la composizione del Csm, ma che qualcuno ha inteso ricondurre alla vecchia questione delle correnti in magistratura.  In ogni caso questo avrebbe spinto ad ampliare il numero degli eleggibili. Per questi magistrati l’elezione sarebbe preceduta da un sorteggio, seguito tra quei sorteggiati da un’elezione. Il ministro Salvini chiede cose come la separazione delle carriere nel Csm e l’intervento sulle intercettazioni. Il punto è che il primo richiederebbe un intervento di natura costituzionale, mentre il secondo è evidentemente impossibile, perché la distanza tra i due partiti è troppo forte

Può darsi che questa riforma sia stata già a lungo valutata. In fondo il passaggio in Consiglio dei ministri è il primo passo, che poi determinerà la formulazione di una proposta al Parlamento, il quale poi vedrà le modalità di discussione da parte delle Camere. Su riforme importanti, come quella della giustizia, le Camere devono avere i propri tempi di discussione. Il governo è in carica da 14 mesi, quindi i tempi ci sono stati. Adesso sarà il Parlamento ad affrontare la questione,  senza troppa fretta perché  si tratta di un testo che può dare maggiore certezza ai tempi della giustizia.

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