Il tasso di natalità in Italia non dipende solo dal reddito, ma anche dal benessere collettivo.
Intrattenere buone relazioni sociali, godere di servizi pubblici efficienti o di un’interessante offerta culturale conta quanto avere soldi in tasca. Lo certifica l’Istat, che dal 2013 pubblica annualmente il rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile, il cosiddetto BES.
Questo indice è la risposta italiana all’esigenza, avvertita in molti Paesi, di dotarsi di uno strumento che misuri la qualità della vita, da affiancare ai comuni indicatori sulla situazione economica. Il BES si basa su circa 130 indicatori relativi a 12 domini:
- salute;
- istruzione e formazione;
- lavoro e conciliazione dei tempi di vita;
- benessere economico;
- relazioni sociali;
- politica e istituzioni;
- sicurezza;
- benessere soggettivo;
- paesaggio e patrimonio culturale;
- ambiente;
- innovazione, ricerca e creatività;
- qualità dei servizi.
Il livello di benessere influenza anche la decisione di avere o non avere figli. Come rilevato dal rapporto dal titolo “Avere figli in Italia: una questione di BES” realizzato da tre docenti di Demografia e Statistica dell’Università La Sapienza di Roma, Alessandra De Rose, Filomena Racioppi e Maria Rita Sebastiani, pubblicato sul sito di demografia Neodemos.
Quando si affronta il tema della denatalità occorre quindi considerare molte variabili oltre a quella economica. Certo, il reddito incide molto, così come il lavoro, ma subito dopo troviamo le relazioni sociali e altri fattori legati alla qualità della vita. Il peso degli indicatori relativi alla situazione economica è più rilevante durante la crisi: nel periodo 2010-2011 il tasso di correlazione tra fecondità e benessere economico è di 0,70 in una scala da 0 a 1, mentre scende a 0,52 nel periodo 2015-2017, a crisi finita. Al contrario, tra 2015 e 2017 sale molto la valutazione del benessere soggettivo (0,74), cresce quella dell’ambiente (da 0,47 a 0,54), e scende l’importanza attribuita alla qualità dei servizi (da 0,63 a 0,51). In entrambi i periodi, invece, rimane stabile il peso delle relazioni sociali (0,63).
L’unico aspetto che incide in negativo sul tasso di natalità è dato da furti, rapine e saccheggi. È più rilevante nel periodo di difficoltà economica 2010-2011 (-0,23) rispetto al biennio 2015-2017 (-0,15).
Il rapporto certifica, infine, la forte disuguaglianza territoriale che insiste tra Nord e Sud. Nelle regioni settentrionali, dove il benessere è maggiore, si fanno più figli. Al primo posto c’è, non a caso, la provincia di Bolzano, che è al top in tutti i domini del BES, e nel 2017 ha registrato il numero medio di figli per donna più alto d’Italia (1,74 contro una media di 1,32). E ancora, non è una sorpresa che sia proprio una regione del Mezzogiorno quella in cui si è registrato il tasso di fecondità totale più basso: la Sardegna con 1,06 figli per donna.