Al processo sul caso Ruby, è stata ascoltata oggi Gigliola Graziani, la direttrice della comunità di Genovadove la ragazza era stata affidata. La donna ha affermato che Ruby le confidò della prima volta in cui partecipò ad una serata in villa San Martino ad Arcore: “Mi disse di avere cenato e mi descrisse le portate. Le chiesi espressamente se avesse avuto rapporti sessuali con Silvio Berlusconi ma lei me lo ha negato”. “So però – ha aggiunto la Graziani- che ha parlato con le altre ragazze del bunga bunga, che consisteva in una danza con toccamenti”.
In comunità Ruby ”faceva il nome di Berlusconi. Parlava della moglie di Corona, Nina Moric, diceva di conoscere molto bene il bambino. E senz’altro aveva tanti contatti con la figlia di Lele Mora che voleva prenderla in affido”. La testa ha poi fatto riferimento alle tante fughe di Ruby, dalle quali tornava sempore con vestiti e gioielli: “Quando rientrava dalle fughe aveva sempre tanti soldi e aveva tantissimi vestiti griffati e gioielli”. In particolare la donna ricorda una collana “con grandi perle che Ruby diceva che le era stata regalata da Silvio Berlusconi, che lei chiamava papi. Credeva fosse vera, ma quando il gioiello fu inventariato dai carabinieri, scoprì che non lo era”. Ruby, prosegue la testimone, si vestiva sempre in modo succinto “era molto bella e si sapeva muovere. Era tanto intelligente ma molto scaltra e furba. Entrava in empatia con le aspettative delle persone”.
”La giovane marocchina ne ha raccontate sempre tante, ma il riferimento a Mubarak con noi non l’ha mai fatto”, afferma la direttrice della comunità. “Non aveva documenti ma a me disse che Silvio Berlusconi avrebbe fatto in modo di regolarizzarla’”.
Altro teste sentito oggi Marco Landolfi, agente di polizia di Stato, che ha ricostruito la notte del 27 maggio 2010 quando Ruby venne trattenuta in questura a Milano. Secondo il poliziotto il capo di gabinetto Pietro Ostuni ”chiedeva di accelerare le pratiche per il rilascio” di Ruby.
L’agente ha ricordato le pressioni subite dal il commissario capo Giorgia Iafrate che gli ricordò che la ragazza non doveva ”essere fotosegnalata” ma ”lasciata andare”. E questo perché aveva telefonato Pietro Ostuni che a sua volta era stato contattato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che indicava la ragazza come la nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak.
Quella sera, ha proseguito Landolfi, prima di avvisare il pm minorile Annamaria Fiorillo, ”la dottoressa Iafrate riceveva in continuazione telefonate da Ostuni che chiedeva di accelerare le pratiche del rilascio poiché alla Presidenza del Consiglio aveva già detto che era stata rilasciata”, mentre invece la giovane era ancora negli uffici per gli accertamenti. ”La dottoressa Iafrate era molto agitata – ha precisato Landolfi – e andava avanti e indietro, si alzava per andare verso la ragazza. Il questore non fu avvisato di quanto stava accadendo”.