Così M5s e Pd stanno digerendo la svolta giallorossa

Cinque giorni per metabolizzarsi a vicenda. Partito democratico e Movimento 5 stelle hanno tempo fino a martedì 27 agosto. Ultima deadline imposta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: o si trova una maggioranza alternativa a quella gialloverde o si va al voto anticipato. Così l’alleanza giallorossa – che sembrava cosa fatta prima di rallentare nel secondo giro di consultazioni al Quirinale – guadagna ancora qualche ora di gestazione. Sempre che la Lega non torni ancora di più alla carica per un revival pre crisi di governo, anche se il dialogo tra ex alleati sembra al tramonto.

Il M5s sta mettendo in campo un percorso a tappe e di avvicinamento al Pd per portare il gruppo dei parlamentari a “digerire” quella che viene ormai considerata l’unica strada percorribile per evitare il ricorso alle urne. Luigi Di Maio non ha citato esplicitamente i dem nelle dichiarazioni alla stampa dopo aver visto Mattarella, ma ha proposto 10 punti programmatici in risposta ai cinque enunciati da Nicola Zingaretti. La strada per il confronto è ormai aperta, ma Di Maio deve cercare di arginare quel drappello di parlamentari del Movimento che è apertamente uscito allo scoperto per scongiurare l’intesa con i democratici e cercare di ritornare a una riedizione dell’alleanza gialloverde. Come Gianluigi Paragone, il senatore che rivendica apertamente la sua contrarietà all’accordo manifestando la sua cordiale antipatia, su cui ha detto di non aver cambiato idea, verso la “spocchia” che esprimerebbe il PdUn nodo resta il nome del premier. Si è parlato di Marta Cartabia. Ma restano in gioco anche Raffaele Cantone (ex Anticorruzione), Enrico Giovannini (in passato ministro del Lavoro e presidente Istat) e Massimo Bray (titolare dei Beni culturali con Letta). I cinque stelle non intendono fare passi indietro su Giuseppe Conte, un profilo che ritengono “ragionevole” proporre al Pd. Ma i democratici hanno chiuso a ipotesi di Conte bis. Intanto Di Maio, accolto dagli applausi dei parlamentari, ha ricevuto, insieme con i capigruppo di Camera e Senato, il mandato a trattare: è già un primo grande passoE il decreto legge sicurezza? Potrà, si spiega, essere emendato in tutte quelle parti che sono state oggetto di osservazioni da parte del capo dello Stato e della Corte costituzionale. E anche sul taglio dei parlamentari la constatazione è che la riforma a questo punto è su un binario morto e quindi «in un’ottica di legislatura» ci sarà tutto il tempo per concordare con il Pd un percorso che vada in quella stessa direzione.

Anche il Pd è pronto a trattare. Per il segretario Zingaretti «dalle proposte e dai principi da noi illustrati al capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare». Il presidente dei senatori Pd Andrea Marcucci ha confermato: «Credo che ci siano le condizioni per avviare un dialogo fattivo con il M5s. L’obiettivo di arrivare a un programma rigoroso nei tempi celeri che vuole Mattarella è raggiungibile».

Ma allora perché a un certo punto sembrava tutto essersi arenato? I renziani hanno accusato “qualcuno” di voler boicottare l’intesa con il Movimento. Lo ha fatto la vicepresidente Anna Ascani. Nessuno ha fatto chiaramente il suo nome, ma stando ai rumor chi avrebbe remato contro è Paolo Gentiloni. Matteo Renzi, concedendo la buona fede a Zingaretti nella ricerca dell’intesa con i cinque stelle, ha dato la stura ai sospetti contro colui che fu suo ministro degli Esteri. Dem quindi stretti nella contraddizione forse insolubile tra gruppi parlamentari ancora largamente renziani e un gruppo dirigente scaturito dal Congresso, che cerca di perseguire la propria legittima linea. «Nessun tentativo di far fallire la trattativa», ha affermato Graziano Delrio, capogruppo alla Camera, «ma piuttosto di fondare su solide basi un governo all’altezza della crisi».

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