La crisi di agosto sembra aver messo la parola fine sull’esperienza di Governo gialloverde. Mentre in queste ore si lavora alla possibilità di un nuovo esecutivo targato Cinquestelle-Pd – in mezzo a mille difficoltà ed ostacoli che ad oggi non fanno affatto tramontare l’ipotesi di un ritorno anticipato alle urne – sono in tanti ad interrogarsi sull’eredità lasciata dal Governo uscente, in particolare in ambito pensionistico.
E’ senza dubbio Quota 100 una delle due misure totem – insieme al Reddito di Cittadinanza – a trazione assolutamente leghista, pensata per “smontare pezzo per pezzo” (come più volte ha dichiarato Salvini) il sistema vigente creatosi dopo la riforma Fornero di fine 2011, la novità di cui si è parlato con più frequenza negli ultimi mesi. La misura – che consente almeno 38 anni di contributi e 62 anni di età – è stata introdotta in via sperimentale per un triennio e, nelle previsioni della Lega, dovrebbe essere poi sostituita dalla pensione anticipata ottenibile con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.
Come scrive oggi il Sole 24 Ore, “i correttivi introdotti sono a tempo e, se non prorogati, limiteranno nel breve termine la platea dei beneficiari, mentre gli effetti sui conti pubblici si faranno sentire per un periodo più lungo. Il totale stimato inizialmente dal governo stesso, nell’arco che va dal 2019 al 2028, è di 45 miliardi di euro, ma quello effettivo potrebbe essere minore.”
Fin qui, Quota 100, non ha marciato a passo di carica. Anzi le adesioni sono inferiori alle attese e il 2019 si dovrebbe concludere con circa 200mila pensionamenti.
Ma, scrive ancora il quotidiano economico, sui conti pubblici pesa anche il congelamento dell’adeguamento alla variazione della speranza di vita per quanto riguarda la pensione anticipata. Fino al 2026 gli uomini la potranno ottenere con 42 anni e 10 mesi di contributi, mentre alle donne saranno sufficienti 41 anni e 10 mesi. In base alle proiezioni che erano già state elaborate, nel 2026 dovrebbero essere necessari 11 mesi in più. Ciò comporta un incremento crescente del numero di pensionamenti con relativo appesantimento sui conti.
Misure che hanno suscitato perplessità e critiche sia della Commissione Europea nel report elaborato in primavera sia dell‘Ocse.